Cari fratelli e sorelle, ... vorrei condividere con voi tre pensieri che
 mi stanno particolarmente a cuore intorno al ruolo del comunicatore.
Primo.
 I media cattolici hanno una missione molto impegnativa nei 
confronti della comunicazione sociale: cercare di preservarla da tutto 
ciò che la stravolge e la piega ad altri fini. Spesso la comunicazione è
 stata sottomessa alla propaganda, alle ideologie, a fini politici o di 
controllo dell’economia e della tecnica. Ciò che fa bene alla 
comunicazione è in primo luogo la parresia, cioè il coraggio di 
parlare in faccia, di parlare con franchezza e libertà. Se siamo 
veramente convinti di ciò che abbiamo da dire, le parole vengono. Se 
invece siamo preoccupati di aspetti tattici –il tatticismo? – il nostro 
parlare sarà artefatto, poco comunicativo, insipido, un parlare di 
laboratorio. E questo non comunica niente. La libertà è anche quella 
rispetto alle mode, ai luoghi comuni, alle formule preconfezionate, che 
alla fine annullano la capacità di comunicare. Risvegliare le parole: 
risvegliare le parole. Ma, ogni parola ha dentro di sé una scintilla di 
fuoco, di vita. Risvegliare quella scintilla, perché venga. Risvegliare 
le parole: ecco il primo compito del comunicatore.
Secondo. La comunicazione evita sia di “riempire” che di “chiudere”. 
Si “riempie” quando si tende a saturare la nostra percezione con un 
eccesso di slogan che, invece di mettere in moto il pensiero, lo 
annullano. Si “chiude” quando, invece di percorrere la via lunga della 
comprensione, si preferisce quella breve di presentare singole persone 
come se fossero in grado di risolvere tutti i problemi, o al contrario 
come capri espiatori, su cui scaricare ogni responsabilità. Correre 
subito alla soluzione, senza concedersi la fatica di rappresentare la 
complessità della vita reale, è un errore frequente dentro una 
comunicazione sempre più veloce e poco riflessiva. Aprire e non chiudere:
 ecco il secondo compito del comunicatore, che sarà tanto più fecondo 
quanto più si lascerà condurre dall’azione dello Spirito Santo, il solo 
capace di costruire unità e armonia.
Terzo. Parlare alla persona tutta intera: ecco il terzo 
compito del comunicatore. Evitando quelli che, come ho già detto, sono i
 peccati dei media la disinformazione, la calunnia e la diffamazione. 
Questi tre sono i peccati dei media. La disinformazione, in particolare,
 spinge a dire la metà delle cose, e questo porta a non potersi fare un 
giudizio preciso sulla realtà. Una comunicazione autentica non è 
preoccupata di “colpire”: l’alternanza tra allarmismo catastrofico e 
disimpegno consolatorio, due estremi che continuamente vediamo 
riproposti nella comunicazione odierna, non è un buon servizio che i 
media possono offrire alle persone. Occorre parlare alle persone intere:
 alla loro mente e al loro cuore, perché sappiano vedere oltre 
l’immediato, oltre un presente che rischia di essere smemorato e 
timoroso. Di questi tre peccati – la disinformazione, la calunnia e la 
diffamazione – la calunnia, sembra di essere il più insidioso, ma nella 
comunicazione, il più insidioso è la disinformazione, perché ti porta a 
sbagliare, all’errore; ti porta a credere soltanto una parte della 
verità.
Risvegliare le parole, aprire e non chiudere, parlare a tutta la persona rende concreta quella cultura dell’incontro,
 oggi così necessaria in un contesto sempre più plurale. Con gli scontri
 non andiamo da nessuna parte. Fare una cultura dell’incontro. E questo è
 un bel lavoro per voi. Ciò richiede di essere disposti non soltanto a 
dare, ma anche a ricevere dagli altri. 
 
 
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