IV DOMENICA QUARESIMA
Le più antiche opere di teologia cristiana in latino ci sono infatti
pervenute non dall'Italia o da altre regioni dell'Impero Romano, bensì da Cartagine (oggi alla
periferia di Tunisi). Sempre dal Nordafrica
ci vengono i più antichi testi sui
martiri cristiani, con la trascrizione in latino degli atti del processo e
della condanna dei membri di una comunità cristiana di Scillium (forse
corrispondente a Cillium, oggi Kasserine, in Tunisia), il 17 luglio
180. Nei primi secoli erano più le Diocesi in Africa del Nord che non in
Italia.
L’influenza africana a Roma si fa sentire, del resto, già fin dal 189,
quando Vittore, un africano, viene eletto papa a Roma (189-198). Ciò
dimostra il posto che doveva avere la Chiesa d’Africa fin dalla fine del
secondo secolo. E nel terzo e quarto continuerà ad aumentare. Come dimenticare
poi che il nord Africa ci ha dato sant’Agostino.
Vi starete chiedendo perché mai stia elencando questi dati storici. Ci
serve per capire che in queste terre, dove il Cristianesimo è stato
profondamente vivo e diffuso, tanto da segnare profondamente anche il nostro
presente, oggi è quasi completamente scomparso.
Vi chiederete ancora: perché parlare di questo in una domenica di
Quaresima?
Riascoltiamo un attimo le parole della prima lettura: “Tutti … moltiplicarono le loro infedeltà,
imitando in tutto gli abomini degli altri popoli. … Allora il Signore fece
salire contro di loro il re dei Caldei, che uccise di spada i loro uomini …
senza pietà per i giovani, per le fanciulle, per i vecchi e i decrepiti”
(2Cr 36,14;17). Qui si fa riferimento all’invasione d’Israele da parte dei Babilonesi,
paragonabili a ciò che furono i Barbari per l’Impero Romano.
Come sempre, quello che appare, è che Dio avrebbe mandato una punizione
per il popolo infedele; in realtà la situazione è completamente diversa. Nel
libro di Isaia leggiamo: “(il popolo),
voltandosi, se n'è andato per le strade del suo cuore” (Is 57,17). In poche
parole Dio afferma che il suo popolo ha scelto di fare di testa propria, di
percorrere le strade dell’autonomia.
Conosciamo tutti il principio di causa ed effetto, in base a esso la situazione
attuale dipende dalle cause che abbiamo posto nel passato, così come dalle
cause che poniamo nel presente dipenderà la nostra situazione futura.
Proviamo a immaginarci un mobile invaso dai tarli – esternamente si
vedono solo dei piccoli fori, si sente un leggerissimo rumore, ma internamente
essi creano dei tunnel, che indeboliscono la struttura -; se qualcuno si
appoggia a quel mobile, è possibile che esso si rompa. La colpa allora non è di
chi si è appoggiato, ma del fatto che il mobile è irrimediabilmente indebolito,
perché non è stato curato.
La metafora ci serve per comprendere che, un popolo come il nostro,
radicalmente indebolito dalla perdita di identità cristiana - non parlo
ovviamente degli aspetti più esterni, formali, ma del cuore della fede
Cristiana, alla quale si impedisce di incidere sulla vita delle persone -, è
destinata a crollare.
A lungo andare nessuna civiltà è garantita nella sua sopravvivenza, se non
ha radici profonde e salde, se non è curata in profondità, se si lasciano
diffondere tranquillamente i “tarli”. Dice Gesù: “come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano,
prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò
nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti”
(Mt 24,37ss).
Troviamo ancora nella prima lettura: “Il Signore … mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri
ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo … Ma essi si beffarono
dei messaggeri” (2Cr 3615s). La nostra storia è costantemente costellata da
profeti che, a nome di Dio, invitano a
leggere in profondità i segni dei tempi e a reagire. La vera saggezza sta
nell’ascoltarli e cominciare a percorrere con loro strade nuove. Non posso non
pensare a papa Benedetto XVI il grande che, ha continuato, con la sua umiltà e
dolcezza, ma anche con grande lucidità, a metterci in guardia contro i veri
mali del nostro tempo; lui che già diversi decenni fa aveva previsto i danni
del presente; eppure quanto disprezzo nei suoi confronti, quanta derisione,
anche dentro la Chiesa. Che sciocchi! Ridere, non i impedisce ai “tarli” di
lavorare, anzi, lo fanno con maggior libertà.
Il Vangelo ci dà, come sempre, la bella notizia: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia
innalzato il Figlio dell’uomo. … Dio infatti … ha mandato il Figlio … perché il
mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,14;16;17). L’episodio si rifà a
quando il popolo, per salvarsi dal morso dei serpenti, dovette guardare un
serpente di bronzo innalzato su un bastone. E’ evidente il riferimento a Gesù,
morto sulla croce. Egli rimane ancora oggi l’unica risposta. Torniamo a Lui e
saremo salvi.
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