PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Lunedì, 1° giugno 2015
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.123, 02/06/2015)
Dio dà sempre vita a una «storia d’amore» con ciascuno di noi. E
nonostante quelli che sembrano essere «fallimenti»,
piccoli e grandi,
alla fine quel «sogno d’amore» vince. Proprio questo nostro cammino su
una «strada difficile», con un Dio che salva attraverso ciò che è
scartato, è stato riproposto da Francesco nella messa celebrata lunedì
mattina, 1 giugno, nella cappella della Casa Santa Marta.
Per il Papa, la parabola dei contadini e del padrone della vigna,
raccontata da Marco nel passo evangelico (12, 1-12) proposto dalla
liturgia, «è un riassunto della storia di salvezza che Gesù fa — come
abbiamo sentito — ai capi dei sacerdoti, agli scribi, agli anziani: cioè
alla dirigenza del popolo di Israele, a quelli che avevano in mano il
governo del popolo, a quelli che avevano in mano la promessa di Dio».
Ed «è una bella parabola», ha fatto notare Francesco, che «incomincia
con un sogno, un progetto di amore: quell’uomo che pianta la vigna, la
circonda con una siepe, scava la buca per il torchio» e costruisce una
torre. È «tutto fatto con amore». L’uomo infatti «amava questo germoglio
di vigna» e così «la dà in affitto, la consegna» perché dia frutti. Poi
«al momento opportuno manda un servo dai contadini a ritirare da loro
la sua parte del raccolto e incomincia tutto quello che abbiamo sentito:
a uno lo bastonano, a un altro lo picchiano, a un altro lo uccidono».
Alla fine «manda suo figlio» ma quei contadini «lo uccidono: così
finisce la storia».
In fin dei conti, ha spiegato il Papa, «questa storia che sembra una
storia d’amore, che doveva andare avanti con passi d’amore fra Dio e il
suo popolo», appare invece «una storia di fallimenti». A tal punto che
«Dio — il Padre del popolo, che prende questo popolo per sé perché è un
popolo piccolo e lo ama, sogna con amore — sembra fallire». E «questa
storia di salvezza ben può essere chiamata storia del fallimento». Ma
«il fallimento — ha detto il Pontefice — inizia dal primo momento e
anche in questo fallimento del sogno di Dio, dall’inizio, c’è il sangue —
il sangue di Abele — e da lì continua: il sangue di tutti i profeti che
sono andati a parlare al popolo, ad aiutare a custodire la vigna, fino
al sangue del suo Figlio». Però, ha aggiunto Francesco, «c’è alla fine
una parola di Dio, che ci fa pensare».
«Che cosa farà dunque il padrone della vigna?» si è chiesto
Francesco. E ha risposto: «Verrà e metterà il popolo davanti al
giudizio». A questo proposito Gesù dice «una parola che sembra un po’
fuori luogo: “Non avete letto questa Scrittura? La pietra che i
costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo. Questo è
stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”». Il Papa
ha dunque messo in chiaro che «quella storia di fallimento si rovescia e
quello che è stato scartato diviene la forza». Così «i profeti, gli
uomini di Dio che hanno parlato al popolo, che non sono stati ascoltati,
che sono stati scartati, saranno la sua gloria». E «il Figlio, l’ultimo
inviato, che è stato proprio scartato, giudicato, non ascoltato e
ucciso, è diventato la pietra d’angolo». Ecco, allora, che «questa
storia, che incomincia con un sogno d’amore e sembra essere una storia
d’amore, ma poi sembra finire in una storia di fallimenti, finisce con
il grande amore di Dio, che dallo scarto tira fuori la salvezza; dal suo
Figlio scartato, ci salva a tutti».
Per il Pontefice è un’esperienza bella «leggere nella Bibbia tanti,
tanti lamenti di Dio». Del resto, «quando Dio parla al suo popolo dice:
“Ma perché fai questo? Ricordati di tutto quello che io ho fatto per te:
come ti ho scelto, come ti ho liberato. Ma perché mi fai questo?”». Il
Padre, ha rimarcato Francesco, «si lamenta, piange anche». E «alla fine»
c’è proprio «quel pianto di Gesù su Gerusalemme: “Gerusalemme,
Gerusalemme, che uccidi i profeti”». Questa, ha spiegato, «è la storia
di un popolo che non riesce a liberarsi da quella voglia che ha seminato
Satana nei primi genitori: diventerete dei». È «un popolo che non sa
ubbidire a Dio, perché vuole diventare dio» a sua volta.
Questo atteggiamento lo rende «un popolo chiuso, un popolo nel quale i
ministri si irrigidiscono». Perciò, ha notato il Papa, «la fine di
questo passo, che abbiamo letto, è triste», perché emerge «la rigidità
di quei sacerdoti, di quei dottori della legge: cercavano di catturare
Gesù per ucciderlo ma ebbero paura della folla». Infatti «avevano capito
che lui aveva detto quella parabola contro di loro». E così «lo
lasciarono e se ne andarono».
«La via della nostra redenzione è una strada in cui non mancano tanti
fallimenti» ha riconosciuto il Pontefice. Tanto che «anche l’ultimo,
quello della croce, è uno scandalo: ma proprio lì l’amore vince». E
«quella storia che incomincia con un sogno d’amore, e continua con una
storia di fallimenti, finisce nella vittoria dell’amore: la croce di
Gesù». Francesco ha invitato a «non dimenticare questa strada», anche se
«è una strada difficile». Ma «anche la nostra» è sempre una strada
difficile. Così «se ognuno di noi fa un esame di coscienza, vedrà quante
volte ha cacciato via i profeti; quante volte ha detto a Gesù:
“Vattene!”; quante volte ha voluto salvare se stesso; quante volte ha
pensato di essere giusto».
«L’amore di Dio col suo popolo si manifesta nel sacrificio del suo
Figlio che adesso celebreremo un’altra volta, veramente», ha detto
Francesco prima di riprendere la celebrazione eucaristica. «E quando lui
scende sull’altare e noi lo offriamo al Padre — ha aggiunto — ci farà
bene fare memoria di questa storia d’amore che sembra fallire, ma alla
fine vince». È importante dunque «fare memoria, nella storia della
nostra vita, di quel seme d’amore che Dio ha seminato in noi». E di
conseguenza «fare quello che ha fatto Gesù a nome nostro: si umiliò».
Così anche a noi, ha concluso, «farà bene umiliarci davanti a questo
Signore che adesso viene per celebrare con noi il memoriale della sua
vittoria».
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