Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 16 aprile 2016

Ascoltare per ...



IV DOM. PASQUA

Gesù si trova a Gerusalemme,
in inverno, durante la festa della Dedicazione del tempio; un’importante festa che ricorda quando Giuda Maccabeo, verso la metà di dicembre del 164 a. C., aveva riconsacrato il tempio di Gerusalemme, profanato 3 anni prima (167 a. C.), nello stesso giorno, da Antioco IV Epifane. Questo Re aveva regnato con violenza su Israele e introdotto nel tempio il culto agli dei pagani. La festa durava 8 giorni ed era detta anche «festa dei lumi» per le luminarie accese dovunque in segno di gioia.
     I Giudei si avvicinano a Gesù e gli chiedono di rivelare apertamente chi è. In realtà, pur mostrando a parole un desiderio sincero di conoscere la verità sul Cristo, cercano solo pretesti e prove per accusarlo e condannarlo; vogliono una dichiarazione esplicita che lo comprometta definitivamente e consenta loro di toglierlo di mezzo. Sono come quegli intervistatori che sembrano solo cercare un’affermazione del loro interlocutore da poter deformare per vedersi confermata una tesi precostituita.  
     Un importante filosofo ebreo del I sec. d.C., che scriveva in greco, Filone di Alessandria, definiva il sapiente come colui che è methórios, cioè che si trova sulla frontiera, riuscendo così a stare coi piedi nel proprio territorio, ma guardando anche oltre, verso quello degli altri, verso gli spazi collocati al di là del suo confine.  Quando mancano  persone così, non è possibile il dialogo. Dove non c’è rispetto e vero desiderio di ascolto dell’altro, per comprendere in profondità il suo pensiero – non necessariamente per condividerlo -, non ci può essere relazione; c’è un monologo o, come in questo caso, un duello. Il monologo mira solo a comunicare il proprio pensiero, il duello a fare fuori l’interlocutore. Per questo Gesù diverse volte rifiuta di parlare con i suoi interlocutori, sa che non sono interessati a ciò che ha da dire.
     Questi uomini non credono, perché non vogliono credere, non fanno parte delle sue pecore, ecco la ragione vera. Del resto, come scrive san Paolo: “l’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito” (1Cor 2,24).
     Sono sue pecore invece quelle che ascoltano la sua voce e lo seguono. L'ascolto non indica un’azione passiva, ma una totale disponibilità nei riguardi di colui che parla. Infatti oltre ad ascoltarlo le pecore lo seguono. AscoltarLo per seguirLo, ecco cosa ci chiede Gesù oggi.
     Sono uno che ascolta il Signore? Cosa genera in me l’ascolto della Sua voce? E’ capace di provocarmi?  Riesce a mettermi in discussione, a toccarmi il cuore e a sciogliere le incrostazioni che a volte lo avvolgono?  Ha la forza di fare imboccare strade nuove e mettere in gioco potenzialità sconosciute?
     Padre, manda il tuo Spirito, affinché ci aiuti a riconoscere la voce di Gesù tra le tante voci che vogliono attrarvi a sé. Fa che non seguiamo nessun altro che Tuo Figlio.
     Come dicevamo, coloro che stanno parlando con Gesù, vogliono solo trovare la scusa sufficientemente valida per incastrarlo e farlo fuori. Gesù ci ha detto: “Se hanno odiato me, odieranno anche voi”, non ci ha mai nascosto che seguirLo sulla via del Vangelo, comporta anche rischi seri, per questo ci dice con chiarezza che Dio sta dalla nostra parte. La mano del Padre è anche la mano del Figlio che può dire «nessuno le rapirà dalla mia mano»; la potenza di Dio non teme confronti. Nessuno può strappare al Figlio le sue pecore perché il Figlio e il Padre sono una cosa sola. Il verbo greco harpázō traduce proprio “rapinare con violenza”, strappare con la violenza di chi vuole distruggere e rovinare il patrimonio di un altro: “da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore: egli ha fatto cielo e terra.  Non lascerà vacillare il tuo piede, non si addormenterà il tuo custode. Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode d’Israele.
 Il Signore è il tuo custode”
(Salmo 121, 2ss). Noi ci fidiamo di Te Signore, ma siamo fragili; abbiamo paura dell’insulto, della fatica e del dolore che può scaturire dal seguirTi; fa penetrare nel nostro cuore questa parola, in modo che non ci tiriamo indietro quando il mondo ci chiede conto della nostra fede. Come Paolo e Barnaba non hanno avuto timore di farti conoscere ai cittadini ebrei e pagani di Perge, aiutaci a essere usare la stessa franchezza verso le persone con cui condividiamo la strada; che non ci vergogniamo di dire a tutti che Tu sei Dio con il Padre e lo Spirito Santo.

Nessun commento:

Posta un commento