IV DOM. PASQUA
Gesù si trova a
Gerusalemme,
in inverno, durante la festa della Dedicazione del tempio;
un’importante
festa che ricorda quando Giuda Maccabeo, verso la metà di
dicembre del 164 a.
C., aveva riconsacrato il tempio di Gerusalemme,
profanato 3 anni prima (167
a. C.), nello
stesso giorno, da Antioco
IV Epifane. Questo Re aveva regnato con violenza su
Israele e introdotto nel tempio il culto agli dei pagani. La festa durava 8
giorni ed era detta anche «festa dei lumi» per le
luminarie accese dovunque in segno di gioia.
I Giudei si avvicinano a Gesù e gli
chiedono di rivelare apertamente chi è. In
realtà, pur mostrando a parole un desiderio sincero di conoscere la verità sul
Cristo, cercano solo pretesti e prove per accusarlo e condannarlo; vogliono
una dichiarazione esplicita che lo comprometta definitivamente e consenta loro
di toglierlo di mezzo. Sono come quegli intervistatori che sembrano solo
cercare un’affermazione del loro interlocutore da poter deformare per vedersi
confermata una tesi precostituita.
Un importante filosofo ebreo del I sec. d.C., che scriveva in greco,
Filone di Alessandria, definiva il sapiente come colui che è methórios, cioè che si trova sulla
frontiera, riuscendo così a stare coi piedi nel proprio territorio, ma
guardando anche oltre, verso quello degli altri, verso gli spazi collocati al
di là del suo confine. Quando mancano
persone così, non è possibile il dialogo. Dove non c’è rispetto e vero
desiderio di ascolto dell’altro, per comprendere in profondità il suo pensiero
– non necessariamente per condividerlo -, non ci può essere relazione; c’è un
monologo o, come in questo caso, un duello. Il monologo mira solo a comunicare
il proprio pensiero, il duello a fare fuori l’interlocutore. Per questo Gesù
diverse volte rifiuta di parlare con i suoi interlocutori, sa che non sono interessati
a ciò che ha da dire.
Questi uomini non
credono, perché non vogliono credere, non fanno parte delle sue pecore, ecco la
ragione vera. Del resto, come scrive san Paolo: “l’uomo lasciato alle sue forze non comprende
le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di
intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito” (1Cor
2,24).
Sono sue pecore invece quelle che ascoltano
la sua voce e lo seguono. L'ascolto non indica un’azione passiva, ma una totale
disponibilità nei riguardi di colui che parla. Infatti oltre ad ascoltarlo le
pecore lo seguono. AscoltarLo per seguirLo, ecco cosa ci chiede Gesù oggi.
Sono uno che ascolta il Signore? Cosa
genera in me l’ascolto della Sua voce? E’ capace di provocarmi? Riesce a mettermi in discussione, a toccarmi
il cuore e a sciogliere le incrostazioni che a volte lo avvolgono? Ha la forza di fare imboccare strade nuove e
mettere in gioco potenzialità sconosciute?
Padre, manda il tuo Spirito, affinché ci
aiuti a riconoscere la voce di Gesù tra le tante voci che vogliono attrarvi a
sé. Fa che non seguiamo nessun altro che Tuo Figlio.
Come dicevamo, coloro che stanno parlando
con Gesù, vogliono solo trovare la scusa sufficientemente valida per
incastrarlo e farlo fuori. Gesù ci ha detto: “Se hanno odiato me, odieranno anche voi”, non ci ha mai nascosto
che seguirLo sulla via del Vangelo, comporta anche rischi seri, per questo ci
dice con chiarezza che Dio sta dalla nostra parte. La mano del Padre è anche la
mano del Figlio che può dire «nessuno le
rapirà dalla mia mano»; la potenza di
Dio non teme confronti. Nessuno può strappare al Figlio le sue pecore perché il
Figlio e il Padre sono una cosa sola. Il verbo greco harpázō traduce proprio “rapinare
con violenza”, strappare con la violenza di chi vuole distruggere e rovinare il
patrimonio di un altro: “da dove mi verrà
l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore: egli ha fatto cielo e terra. Non lascerà vacillare il tuo piede, non si addormenterà
il tuo custode. Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode d’Israele.
Il Signore è il tuo custode” (Salmo 121, 2ss). Noi ci fidiamo di Te Signore, ma siamo fragili; abbiamo paura dell’insulto, della fatica e del dolore che può scaturire dal seguirTi; fa penetrare nel nostro cuore questa parola, in modo che non ci tiriamo indietro quando il mondo ci chiede conto della nostra fede. Come Paolo e Barnaba non hanno avuto timore di farti conoscere ai cittadini ebrei e pagani di Perge, aiutaci a essere usare la stessa franchezza verso le persone con cui condividiamo la strada; che non ci vergogniamo di dire a tutti che Tu sei Dio con il Padre e lo Spirito Santo.
Il Signore è il tuo custode” (Salmo 121, 2ss). Noi ci fidiamo di Te Signore, ma siamo fragili; abbiamo paura dell’insulto, della fatica e del dolore che può scaturire dal seguirTi; fa penetrare nel nostro cuore questa parola, in modo che non ci tiriamo indietro quando il mondo ci chiede conto della nostra fede. Come Paolo e Barnaba non hanno avuto timore di farti conoscere ai cittadini ebrei e pagani di Perge, aiutaci a essere usare la stessa franchezza verso le persone con cui condividiamo la strada; che non ci vergogniamo di dire a tutti che Tu sei Dio con il Padre e lo Spirito Santo.
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