XV
DOM. T.O.
“Maestro,
che cosa devo fare per ereditare la vita eterna” (Lc 10, 25); è una domanda
molto importante, peccato che nasconda, oltre a un tentativo di mettere in
difficoltà il Signore Gesù, un desiderio puramente intellettuale, il sapere per
il sapere. San Francesco direbbe
: “Sono morti a causa della lettera coloro che unicamente
bramano sapere le sole parole, per essere ritenuti i più sapienti in mezzo agli
altri” (Am VII). L’unica conoscenza che
Dio apprezza è quella che ci porta a una progressiva trasformazione; un sapere
che dà sapore.
I desideri puramente intellettuali
moltiplicano i ragionamenti, mentre quelli del cuore, nascono dal desiderio di
individuare vie concrete da percorrere per una vita nuova, diversa e portano a
passi concreti. Il Salmista scrive: “La
legge del Signore … rende saggio il semplice” (Salmo 18), ossia fa maturare
colui che di Essa si nutre. Il nostro dottore della Legge dopo avere ricevuto
una risposta molto chiara e avere dimostrato di essere intellettualmente
preparato, comincia subito a cavillare, a cercare delle eccezioni alla richiesta
di Dio. Madeleine Delbrel scrive che “le
parole del Vangelo … se non ci trasformano, è perché noi non chiediamo loro di
trasformarci” (La gioia di credere,
29).
Attraverso la parabola del buon Samaritano
Gesù ci mostra la differenza tra il sapere e l’essere; tra la Parola saputa e
quella conosciuta: del resto, come recita il proverbio, “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”.
Due uomini sanno cosa si deve fare, perché
sono esperti della Parola di Dio, ma Essa, evidentemente, non è penetrata in
profondità nella loro anima. Essi sanno di essere chiamati ad amare gli altri
come se stessi, ma di fronte a un uomo sofferente, pur vedendo, si allontanano.
Non è detto che fossero persone cattive; forse avevano mille ragioni valide per
fare ciò che han fatto, ma è certo che non si sono lasciate mettere in crisi
dalla condizione di quell’uomo.
Il Samaritano, invece, “vide e ne ebbe compassione”. La compassione è una partecipazione sensibile
al dolore altrui; una voce interiore che impedisce l’indifferenza. Essa è
profondamente scomoda, perché costringe a cambiare i propri programmi e fa
mettere in gioco le proprie risorse. La compassione ha fatto di Francesco di
Assisi il Santo che conosciamo; chissà se avrebbe iniziato il
suo straordinario percorso se non fosse sceso da cavallo per avvicinarsi al
lebbroso? Certo è che Lui stesso scrive: “Il
Signore dette a me, frate Francesco, d'incominciare a fare penitenza così:
quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il
Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E
allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza
d'animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo” (Test 1).
La compassione è amore secondo il cuore di
Dio, quando, oltre a essere un sentimento, diventa azione. San Giacomo ci
richiama: “Siate di quelli che mettono in
pratica la Parola e non soltanto ascoltatori” (Gc 1,22).
Attenzione, la compassione non rende
onnipotenti; il compassionevole sa di non avere sempre gli strumenti adeguati e
sufficienti per curare le ferite altrui, ma dopo che ha messo a disposizione il
poco o tanto posseduto, chiede aiuto; cerca chi può soccorrere in modo più
adeguato. La compassione spinge a fare fino in fondo la propria parte.
A questo punto mi chiedo: “Quale forza ha
la Parola di Dio su di me; è capace di farmi cambiare strada; di mettere in
discussione le mie scelte; i miei stili
di vita?
Nemici mortali della compassione sono
l’egoismo e l’egocentrismo. Chi ha sempre lo sguardo rivolto a sé, ai propri
bisogni, alle proprie difficoltà, alle proprie esigenze, molto difficilmente
sarà capace di riconoscere le difficoltà altrui, quindi, tantomeno, saprà
farsene carico. Egoismo ed egocentrismo, sono un ostacolo alla crescita del
Regno di Dio, perché in Esso la legge fondamentale è quella dell’amore.
“Tu, Signore, Ti sei fermato a soccorrere
me, ferito lungo la strada dalle fatiche della vita, dal peccato, dalla cattiveria altrui, aiutami a
non passare oltre, quando un fratello o una sorella hanno bisogno. Non lasciare
che le difficoltà mi spingano all’indifferenza”.
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