XXII DOM. T.O.
“Avvenne che un sabato
Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a
osservarlo”
(Lc 14,1). Gli invitati al pranzo “osservano”Gesù, ma
non si accorgono che,
nello stesso tempo anche Lui li osserva. Dalle cose che vede fare, legge cosa c’è
nel loro cuore. Non ha bisogno di grandi intuizioni, semplicemente interpreta i
fatti. Gesù si accorge che questi uomini
di fede hanno bisogno di apparire; forse considerano addirittura la loro condizione di “capi spirituali”, come
meritoria di privilegio. Dio è per loro come un palco sul quale salire per
essere al centro dell’attenzione.
Durante la Sua esistenza terrena, Gesù ha sempre manifestato una
predilezione per le persone umili e fastidio per i presuntuosi. Come non
ricordare il pubblicano che stava in fondo al Tempio, perché si sentiva indegno,
mentre il Fariseo, in prima fila, pieno di sé, si dichiarava contento di non
essere come quel pubblicano; o la donna Siro-Fenicia, consapevole di non avere
diritto a nulla, ma che si accontentava di essere trattata come un cane che
riceve le briciole sotto la tavola; o il procuratore romano che si sentiva
indegno della venuta di Gesù in casa sua per guarire il servo ammalato.
Del resto, come scrive chiaramente san Paolo: “non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti
potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto
per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto
per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo,
quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché
nessuno possa vantarsi di fronte a Dio” (1Cor 1,26ss).
Dove sta il problema? Perché l’umiltà è un valore importante per Dio?
Perché l’umiltà è la conseguenza inevitabile di chi si conosce in profondità.
Conoscersi, significa avere la consapevolezza di essere un impasto di terra e
di cielo; di luce e di tenebra; di grano e di zizzania. L’umiltà è l’equilibrio
di chi non si esalta per i propri doni – che riconosce e dei quali loda il
Signore -, perché i limiti li controbilanciano; ma che al contempo non si
deprime per i limiti, perché il bello e il bene che possiede, lo impediscono.
Alternativi all’umiltà sono la superbia e l’orgoglio da una parte, quando non
si riesce a vedere che il bene e i doni che si possiedono e, dall’altra parte,
una depressa visione di sé, perché si riesce a vedere solo il limite. Il
superbo guarda tutti dall’alto del proprio splendore, mentre il depresso vive
un’esistenza piena di sofferenza. Madre Teresa di Calcutta scrive: “Se sei umile,
nulla ti colpirà, né la lode, né la disgrazia, poiché saprai allora ciò che
sei. Se ti rimproverano, non ne sarai scoraggiato; e se qualcuno ti dice santo,
non ti metterai su un piedistallo. Se sei santo, ringrazia Dio; se sei
peccatore, non rimanerlo. Cristo ti dice di mirare molto in alto: di essere non
come Abramo o Davide o come un altro santo, ma di essere come il Padre celeste”.
L’umile sa di avere dei doni da mettere a disposizione di Dio, affinché
se ne serva e li moltiplichi per il bene di tutti. Sa anche che ciò che ha, non
gli appartiene, ma viene da Dio, per cui non se ne appropria. Dio ha bisogno di
persone umili, perché si lasciano più facilmente condurre, non diventano
padrone della propria esistenza, arrivando a decidere cosa fare e quando farlo.
Gesù ci dice: “Imparate da me, che
sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29), Egli è Colui che “pur essendo nella condizione di Dio, non
ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una
condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,6s). Madre Teresa
ci dice ancora: “Per diventare santi, ci vuole l’umiltà e la
preghiera. Gesù ci ha insegnato come pregare, e ci ha detto anche di imparare,
dal suo esempio, a essere miti e umili di cuore. Non riusciremo a essere né
l’uno né l’altro se non sappiamo cos’è il silenzio. L’umiltà come la preghiera
provengono da un orecchio, un’intelligenza, e una lingua che hanno gustato il
silenzio vicino a Dio, poiché Dio parla nel silenzio del cuore”. Come si riconosce la propria bassezza mettendosi a
fianco di uno molto alto, così non ci si può vantare di sé, quando si incontra
personalmente la grandezza e la bellezza di Dio e dei suoi santi.
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