XXXI DOM. T.O.
“Hai compassione di tutti, perché tutto
puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento.
Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna
delle cose che hai creato” (Sap 11,23s). Quanto sono preziose queste parole,
perché ci danno la speranza che il Signore non ci inchioda ai nostri peccati;
non ha un taccuino su cui segna indelebilmente ogni nostra caduta; non ci
incatena al nostro passato. Quando, a causa del nostro peccato siamo segnati,
non ha disgusto di noi.
Zaccheo è un uomo che si è arricchito alle spalle della gente; è un
Pubblicano, esattamente come colui che abbiamo conosciuto domenica scorsa e che
se ne stava con gli occhi bassi in fondo al tempio. Gesù sa riconoscere che,
nonostante una vita di peccato, anche grave, il cuore umano è sano, buono,
pulito, desideroso di bellezza e di bene. C’è bisogno di qualcuno che lo
ricordi agli uomini; e che li accolga nel momento del ritorno, non per
ricordargli cosa hanno fatto, ma per aiutarli a profumare nuovamente; a dirgli:
“Tu sei degno”.
Il male è un virus inoculato dall’esterno, ma può e deve essere curato.
Gesù è venuto per questo. Chi ha visto e ascoltato il Signore, lo ha capito
bene. Come deve essere stata sconvolgente la Sua parola per gente abituata da
sempre ad additare il male altrui e a tenerlo rigorosamente a distanza. E’
giunto uno che dice il contrario: “Non
sono venuto a chiamare i giusti, ma i
peccatori” (Mt, 9,13) e non, per applicargli una sorta di eutanasia, ma per
curarli e guarirli. Gesù dice a chi è coinvolto in qualche modo dal male: “Io
sono qui per te”.
Il nostro tempo ama spacciare la misericordia divina per una sorta di
superficiale approvazione di ogni comportamento; a questo il Signore risponde
dicendo: “Io non voglio la morte del
peccatore, ma che si converta e viva”. Gesù sa benissimo da dove viene il
male; sa benissimo cosa produce nell’uomo e per questo lo combatte con tutte le
forze. La misericordia di Dio non è approvazione, ma cura. Fateci caso, ogni
volta che qualcuno con una storia di peccato si avvicina a Gesù, se ne va con
la scelta concreta di cambiare vita. Lo stesso Zaccheo dice: “Io do la metà di ciò che possiedo ai poveri
e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto” (Lc 19,8). Tra
l’altro Gesù non gli ha chiesto nulla; il Signore è davvero entrato nella casa
di Zaccheo, non solo nel senso di un ingresso nell’edificio di mattoni, ma
nella carne di quell’uomo e l’ha risanata. L’uomo nuovo Zaccheo produce
automaticamente frutti nuovi.
Questa è la conversione che
Gesù ha predicato fin dall’inizio della sua predicazione; un cambio profondo e
radicale, frutto della presenza di Dio nel cuore dell’uomo.
Perché Gesù ha agito così proprio nei confronti di questo sconosciuto
Pubblicano?
Perché ha trovato il desiderio. Zaccheo, pur essendo quel che era, ha
conservato nel cuore una scintilla di bene che, al primo soffio dello Spirito,
ha acceso un fuoco. Non si è lascito bloccare dai limiti esterni, non si è
vergognato di compiere gesti, perché il desiderio, quando è autentico, mette in
moto, spinge interiormente e impedisce ogni forma di staticità. Quando c’è il
desiderio, nulla può fermarci. Quando tutto ci ostacola, forse è perché il
desiderio è spento.
Guardando alla vicenda dei due Pubblicani di queste due settimane,
sembra quasi di contemplare l’evoluzione della storia della stessa persona:
pentimento-cambio di vita. Questo è ciò che il Signore desidera per noi.
Passa ancora Signore sulla lungo la strada dove vivo io; chiamami, così
che possa correre a prepararti un posto in casa mia. Non dimenticarti di me,
anche se sono piccolo e peccatore.
Nessun commento:
Posta un commento