XXX DOM. T.O.
Il Fariseo è intimamente convinto di essere giusto, buono e gradito a
Dio; anche il suo corpo, così eretto, in prima fila, parla.
Come si fa ad arrivare a una situazione del genere; a mettersi davanti a
Dio con tanta presunzione?
Basta non avere altro confronto che con se stessi; basta mettersi
davanti allo specchio e innamorarsi di sé, come Narciso che, a forza di
specchiarsi nell’acqua, vi è caduto dentro ed è annegato.
Quanto è pericoloso non avere altro confronto che con sé, perché, se da
una parte c’è il rischio di “innamorarsi di sé”, dall’altra si può arrivare a
odiarsi. Infatti l’immagine riflessa, può essere profondamente diversa a quella
ideale che ci si è fatti o che altri ci hanno proposta. Quando è così, nasce un
profondo senso di colpa; ci sentiamo tristi e infelice, perché inadeguati; ci
fa costantemente rincorrere un modello che, invece, non ci appartiene.
Per conoscerci abbiamo bisogno del
confronto con l’altro.
Martedì sera abbiamo ascoltato la testimonianza di una suora Saveriana
(suor Angela); abbiamo contemplato, rapiti, il suo sguardo, mentre condivideva
con noi la sua storia, fatta di fatiche, dolore e tanta passione. Davanti a lei
mi sono sentito piccolo, con tanta strada da fare, con ancora molto da dare,
prima di poter dire che la mia vita è davvero donata.
Chi si mette a confronto col “peggio”, si sentirà sempre a posto. In
questo modo, anche la mediocrità può diventare bene. Chi si muove così, però,
rischia di rimanere fermo, soddisfatto di sé, ma senza andare da nessuna parte.
Scrive santa Chiara a sant’Agnese da Praga: “Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell’eternità, colloca la
tua anima nello splendore della gloria, colloca il tuo cuore in Colui che è
figura della divina sostanza, e trasformati interamente, per mezzo della
contemplazione, nella immagine della divinità di Lui” (Lettera III). Ecco
allora che tutto cambia. Quando Dio, attraverso Gesù, diventa lo specchio in
cui ci guardiamo, come è possibile sentirsi giusti, innamorarsi della propria
evangelicità?
Abbiamo perso il senso del peccato, mentre è cresciuto a dismisura il
senso di colpa, perché non ci poniamo più davanti a Dio, se non in un rapporto
fugace e superficiale. Ora capiamo perché Gesù ha posto queste parole dopo il
discorso sulla “necessità di pregare sempre”.
Il Pubblicano invece, certamente ha avuto un incontro con Dio. Il
Signore è riuscito a fare luce nella vita di quel suo figlio. Finalmente egli
si è conosciuto, ha visto con verità la sua vita, ed è fiorita in lui la
sofferenza. Non un dolore fine a se stesso
- tipico del senso di colpa -, ma una presa di coscienza capace di
generare in lui il cambiamento. La sofferenza provocata da Dio è terapeutica.
Perché terapeutica?
Perché il Signore non ci mostra a noi stessi per ferirci – come facciamo
noi quando spariamo in faccia certe parole agli altri, per farli sanguinare -,
ma perché si sciolga il ghiaccio interiore, si rompa la durezza del cuore. Il
Salmista scrive che “il Signore è vicino
a chi ha il cuore spezzato” (Salmo 33); è il cuore di chi piange per la
fatica, ma anche di colui che, grazie all’azione divina ha raggiunto la
contrizione del cuore. Il cuore contrito è il cuore sbriciolato. Il Pubblicano
si batte il petto e questo è il gesto del pentimento, della frantumazione del
cuore di pietra. Nascosto sotto questa durezza c’è la vera natura, il cuore di
carne. Dio l’ha promesso: “Toglierò da
voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne”.
Signore rompi lo specchio nel quale contempliamo la nostra immagine;
aiutaci a metterci davanti a Te, allo specchi della Tua croce; aiutaci a non
accontentarci mai, così che possiamo camminare verso le profondità della vita
evangelica.
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