III DOM. AVV.
Giovanni il Battista che, domenica scorsa ci ha detto: “Preparate la
via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!” (Lc 3,4), oggi ribadisce: “Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: «Abbiamo Abramo per padre!» ((Lc 3,8).
raddrizzate i suoi sentieri!” (Lc 3,4), oggi ribadisce: “Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: «Abbiamo Abramo per padre!» ((Lc 3,8).
Quante volte ci siamo sentiti dire o noi stessi abbiamo detto: “Io sono fatto
così!”. Quante volte abbiamo detto di qualcuno: “E’ fatto così”; quasi a giustificazione di una impossibilità personale
o altrui di cambiare. E’ evidente che siamo condizionati dalla nostra struttura
genetica, dalla storia familiare, dal contesto culturale in cui viviamo, dalle
esperienze, ma noi rimaniamo innanzitutto esseri liberi che, pur segnati da
quanto detto, possono diventare anche altro. La conversione a cui ci chiama
Giovanni Battista indica proprio questo, un processo che inizia e che non cessa
fino alla fine della nostra vita. Non si tratta di un cambiamento generico che
si muove senza direzione, bensì un riorientare la nostra esistenza a partire
dal Vangelo. La conversione è innanzitutto interiore – μετάνοια metanoia = meta – oltre e noeo - pensare – etimologicamente significa
profondo cambiamento di pensiero; solo se c’è questo mutamento interiore, si
genera un cambiamento esteriore. Gesù ci spiega con chiarezza, usando l’immagine
dei frutti: “Non vi è albero buono che
produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un
frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si
raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal
buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo
tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore
sovrabbonda” (Lc 6,43ss).
Il processo di conversione può dirsi compiuto solo quando diventano vere
per noi le parole di san Paolo: “non vivo
più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo
nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me”
(Gal 2,20). La conversione è così il processo attraverso il quale diventiamo
progressivamente trasparenza di Cristo e chi vede noi, riconosce Lui. La conversione segna un prima e un dopo, tanto
che non solo gli altri non ci riconoscono più, ma persino noi stessi. Ci si guarda
con stupore e commozione e, a volte, con disgusto per ciò che si è stati. Il Signore fa nuove tutte le cose.
Chi opera la conversione? Tu, io? Non andremmo molto lontani da soli.
Siamo armati solo di buona volontà e questa, purtroppo, è fragilissima. Allora
questa non serve? Certo che serve, ma come collaborazione alla grazia divina. Dio è
l’autore della nostra trasformazione interiore. E’ Lui che, se gli permettiamo
di entrare nel profondo della nostra anima e di viverci, attua l’inizio del
cambiamento e lo accompagna passa dopo passo; a noi spetta di collaborare
attivamente, dicendo sì con le scelte concrete della nostra vita. Per questo Giovanni
Battista indica dei comportamenti pratici, concreti a coloro che gli chiedono
cosa devono fare: condivisione, giustizia e onestà, servizio e non abuso di
potere. Per condividere, essere giusti, e servire senza sopraffare, però bisogna avere un “cuore” convertito,
altrimenti si possono compiere solo alcuni gesti sporadici lasciano presto
ritornare la natura malata.
Padre, continua a provocarmi, a mandarmi “Profeti” che mettano in discussione le mie scelte, i miei
atteggiamenti; non lasciare che mi accontenti e che mi chiuda dietro la facile
scusa che “sono fato così”. E’ vero che sono fatto così, ma Tu vuoi e puoi farmi diverso. Opera in me.
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