XXII DOMENICA T.O.
Gesù, senza troppi riguardi, definisce i suoi interlocutori ipocriti. Sapete chi designa in greco il termine ipokritès? Gli attori, cioè coloro che fingono di essere un’altra persona. Quindi, ipocrita, è colui che finge.
Perché queste parole così forti e offensive di Gesù?
Perché queste persone “onorano” Dio con le labbra, ma il loro “cuore è lontano” da Lui. Sappiamo che per gli antichi il cuore non era solo un organo capace di pompare sangue e mantenere in vita, bensì la sede di ciò che è più intimo e profondo nell’essere umano; la sede dei sentimenti, delle emozioni e delle scelte. Anche noi oggi quando vogliano esprimere qualcosa di profondo, ci riferiamo al cuore: “Ti amo di tutto cuore” oppure, “Hai cuore duro”.
Gesù accusa i suoi ascoltatori di avere una religiosità esteriore, ma che non ha radici nel profondo. Queste persone non hanno realmente fatto spazio a Dio nel loro intimo. Dio è per loro un estraneo (extraneum = di fuori).
Da cosa il Signore capisce che per essi Dio è un estraneo?
Dal fatto che osservano le norme umane, ma trascurano i comandamenti di Dio nel loro significato più profondo. Scelgono cioè quelle norme e comportamenti che hanno un riferimento alla religione, ma che sono marginali e al volte transitorie, invece non fanno propri i comandamenti di Dio. Non lasciano che Dio li trasformi, li cambi, li renda nuovi nel modo di pensare, prima ancora che di agire.
Quando ci accusano di incoerenza (spesso, ma non sempre hanno torto), ci rimproverano questo: un’espressione esteriore della fede, che però non produce diversità di vita. Ci accusano di essere omologati, perché non c’è nulla o quasi che ci rende diversi.
Ricordate cosa disse Gesù a Pietro? “Va’ dietro a me Satana, perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.
Da cosa dipende questa incapacità di comprendere la vera volontà di Dio?
Dal solito problema: l’assenza di relazione con Dio o la superficialità della medesima.
Gesù accusa gli scribi e i farisei di osservare le norme rituali di purificazione previste dalla tradizione degli uomini, a noi forse può rimproverare che ci lasciamo talmente condizionare dalla mentalità umana corrente, che a Lui non lasciamo più spazio. Invece di lasciare che il Vangelo fecondi la vita, pretendiamo che il Vangelo eterno cambi e si adegui, in quanto superato, a ogni nuova epoca, alle sue mode e modi di pensare. Non crediamo più che il Vangelo sia l’unica via di salvezza; non crediamo alle parole del Dt: “Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente” (Dt 4,6), anzi a volte ci vergogniamo del Vangelo.
Non è il Vangelo che deve aggiornarsi, ma i nostri giorni che devono essere evangelizzati.
Come facciamo a capire se siamo affetti dalla malattia mortale dell’ipocrisia spirituale? Confrontiamo ciò che esce dal nostro cuore in parole e opere con il Vangelo e con la vita di Gesù.
Scrive Mt che “l’albero si riconosce dai frutti”, “l’albero buono non può dare frutti cattivi e l’albero cattivo non può dare frutti buoni”.
Chiediamo al Signore di preservarci dall’ipocrisia; ci aiuti a riconoscerne i sintomi e ci indichi come curarla.
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