Questa mattina con dei cari amici, si parlava di credenti non praticanti, ed è emerso, se non ho capito male, che ciò che conta è che le persone siano buone, anche se poi il loro rapporto con Dio è vago o inesistente.
Pongo allora due domande, alle quali darò la mia risposta, in attesa delle vostre.
Essere cristiani, significa essere buoni?
Si può essere credenti, ma non praticanti?
A entrambe le domande mi sento di dare risposte negative.
Essere cristiani (cioè appartenere in maniera esclusiva a Cristo), comporta due dimensioni inseparabili: amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la forza e con tutto se stessi, e, amare il prossimo come Dio ha amato noi in Cristo.
Le due dimensioni sono talmente unite che, come scrive san Giovanni: "Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello"(1Gv 4,20).
Sempre Gv però afferma: "Da questo sappiamo d'averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice:«Lo conosco» e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui; ... Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato" (1Gv 2,2,3ss). Gesù non è stato solamente "buono", ma ha messo Dio Padre al centro della sua esitenza e lo ha fatto in maniera estremamente concreta (ogni grande scelta di Gesù è stata preceduta dalla preghiera e ogni sera si ritirava per stare unito al Padre).
E' cristiano chi, nel cammino della sua esistenza, ha un desiderio insaziabile di Dio: "Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio" (Salmo 41,2). Il cristiano è un "cercatore", che percorre le strade che Dio stesso ha indicate, per incontrarlo: la preghiera, l'Eucaristia, la Parola di Dio e l'insegnamento degli Apostoli (At 2,42). Egli non cerca un Dio che ha connotati indefiniti e che vive in un cielo lontano, ma cerca o meglio si lascia trovare, da Dio che gli viene incontro: Dio che si è fatto carne.
Da questo incontro, continuamente rinnovato, se Dio riesce a prendere dimora, nasce la conversione, un mutamento profondo che rende irriconoscibili persino a se stessi. Dalla conversione nasce come frutto la carità, la fede - intesa come fiducia in Dio -, la speranza, la sapienza (saper leggere più in profondità la realtà), gioia, capacità profetica; Dio diventa criterio di scelta e di pensiero.
Quindi se da una parte è vero, purtroppo, che non tutti i praticanti sono credenti, dall'altra è difficilmente vero che i non praticanti siano credenti. E' vero però che, dove ci sono persone capaci di amare, il Signore più facilmente troverà uno spazio per aiutare a credere.
Ritengo che questa falsa idea vada smascherata, perché dopo aver fatto verità si può iniziare un cammino autentico. Solo chi sa di non essere arrivato, si mette in movimento, chi crede di essere già a posto, invece, non si muoverà.
Pongo allora due domande, alle quali darò la mia risposta, in attesa delle vostre.
Essere cristiani, significa essere buoni?
Si può essere credenti, ma non praticanti?
A entrambe le domande mi sento di dare risposte negative.
Essere cristiani (cioè appartenere in maniera esclusiva a Cristo), comporta due dimensioni inseparabili: amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la forza e con tutto se stessi, e, amare il prossimo come Dio ha amato noi in Cristo.
Le due dimensioni sono talmente unite che, come scrive san Giovanni: "Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello"(1Gv 4,20).
Sempre Gv però afferma: "Da questo sappiamo d'averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice:«Lo conosco» e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui; ... Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato" (1Gv 2,2,3ss). Gesù non è stato solamente "buono", ma ha messo Dio Padre al centro della sua esitenza e lo ha fatto in maniera estremamente concreta (ogni grande scelta di Gesù è stata preceduta dalla preghiera e ogni sera si ritirava per stare unito al Padre).
E' cristiano chi, nel cammino della sua esistenza, ha un desiderio insaziabile di Dio: "Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio" (Salmo 41,2). Il cristiano è un "cercatore", che percorre le strade che Dio stesso ha indicate, per incontrarlo: la preghiera, l'Eucaristia, la Parola di Dio e l'insegnamento degli Apostoli (At 2,42). Egli non cerca un Dio che ha connotati indefiniti e che vive in un cielo lontano, ma cerca o meglio si lascia trovare, da Dio che gli viene incontro: Dio che si è fatto carne.
Da questo incontro, continuamente rinnovato, se Dio riesce a prendere dimora, nasce la conversione, un mutamento profondo che rende irriconoscibili persino a se stessi. Dalla conversione nasce come frutto la carità, la fede - intesa come fiducia in Dio -, la speranza, la sapienza (saper leggere più in profondità la realtà), gioia, capacità profetica; Dio diventa criterio di scelta e di pensiero.
Quindi se da una parte è vero, purtroppo, che non tutti i praticanti sono credenti, dall'altra è difficilmente vero che i non praticanti siano credenti. E' vero però che, dove ci sono persone capaci di amare, il Signore più facilmente troverà uno spazio per aiutare a credere.
Ritengo che questa falsa idea vada smascherata, perché dopo aver fatto verità si può iniziare un cammino autentico. Solo chi sa di non essere arrivato, si mette in movimento, chi crede di essere già a posto, invece, non si muoverà.
complimenti...bella riflessione e grazie per il blog
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