XXXII DOMENICA T.O. 2009
Quand’ero a Bologna, arrivavano quotidianamente molte cose per i poveri: vestiti, giocattoli e cibo. Qualcuno portava roba nuova o comunque molto curata, altri invece non si facevano problema a dare cibo scaduto o in confezioni aperte e abiti vecchissimi, rotti o poco puliti. Cosa ci stava dietro all’atteggiamento di questi ultimi? Io credo, poco amore; elemosina – nel senso negativo, che a volte si dà a questo termine -, ma non carità. La carità ha rispetto per chi ha bisogno; quando, invece di buttare via un vestito che io non metto più o il cibo, perché rischia di farmi male, lo do a un povero, significa che non ho rispetto per la sua dignità e quindi che non lo amo.
Alle persone amate si dà il meglio.
Dopo la morte di mia madre, ho ripensato con ammirazione, al fatto che in tutti gli anni in cui siamo stati insieme non ha mai scelto la parte buona delle pietanze, l’ha sempre lasciata a me e ai miei fratelli e l’ha sempre fatto come fosse stata la cosa più normale del mondo.
Alcuni mesi fa mi è capitata tra le mani l’autobiografia di un’attrice, famosa alcuni anni fa, alla quale è morto il figlio di 19 anni; anche lei scrive: “Adesso a chi darò la parte buona della bistecca?”.
Queste pensieri mi sono venuti in mente, leggendo della vedova del Vangelo di oggi. E’ una donna, una vedova, quindi una creatura in condizione di estrema fragilità nella società ebraica del I secolo; eppure offre a Dio, attraverso due a piccolissime monete gettata nel tesoro del tempio, il meglio che ha. Questa è una donna che ama e, chi ama esagera, non ha paura di fare troppo, anzi non si sente mai in pari.
Questa donna mi fa molto riflettere. Costei, senza saperlo, col suo gesto, continua a dire molto, dopo 2000 anni. Non mi consente di nascondermi dietro delle scuse o delle illusioni: l’amore per Dio deve incarnarsi in gesti concreti.
C’è un passo interessante del profeta Malachia: “Il figlio onora suo padre e il servo rispetta il suo padrone. Se io sono padre, dov’è l’onore che mi spetta? Se sono il padrone, dov’è il timore di me? Dice il Signore … a voi, sacerdoti che disprezzate il mio nome. Voi domandate: «Come lo abbiamo disprezzato il tuo nome?». Offrite sul mio altare un cibo impuro e dite: «In che modo te lo abbiamo reso impuro?». Quando … offrite un animale cieco in sacrificio, non è forse un male? Quando voi offrite un animale zoppo o malato, non è forse un male? Offritelo pure al vostro governatore: pensate che sarà soddisfatto di voi o che vi accoglierà con benevolenza?” (Mal 1,6ss). Siamo in un tempo in cui esistevano ancora i sacrifici come segno di fede; qual è il rimprovero? Che a Dio vengono offerti animali difettosi, gli scarti. Il Signore sa cosa significa ciò: poco amore.
Forse preferiremmo non sentircelo dire, ma questa donna accusa il nostro tempo, perché il nostro è il tempo degli scarti, degli avanzi. A Dio riserviamo normalmente l’ultimo posto, ma la cosa più triste è, che questo non ci preoccupa. Va bene così. Invece, oggi, siamo chiamati a prendere coscienza di come ci stiamo ponendo davanti a Dio e, a fare una scelta.
Proviamo a leggere i fatti. Cosa c’è dietro una vita di preghiera scarsa e superficiale? Perché non leggo la Parola di Dio? Perché non mi accosto al Sacramento della Riconciliazione con consapevolezza e pentimento? Perché il magistero del Papa e del Vescovo mi interessano tanto quanto il libretto di istruzioni di un trattore? Come mai non sono capace d'arrivare all’Eucaristia puntuale?
E’ perché sono come la povera vedova: oggettivamente povero di tempo – visto che viviamo in un tempo folle, che fa di tutto per non farci fermare? Oppure devo riconoscere che Dio non mi interessa particolarmente, per cui gli riservo la stessa attenzione e cura che si riservano a quei conoscenti che si salutano gentilmente, ma che non fanno parte della nostra esistenza?
La vedova è povera, ma quello che ha lo dà, perché ama. Posso dire di me, che quel che ho di buono, lo do a Dio?
La vedova, per sentirsi in pace con la coscienza, avrebbe potuto dire: “Sono povera, mi rimangono solo queste monetine; quindi, Signore non posso offrirti nulla”; invece quel poco, che in realtà è molto, lo dà.
Dobbiamo essere molto onesti con noi stessi, per non ingannarci inutilmente, tanto Dio legge il nostro cuore e sa. Guardiamo, per esempio, se quando abbiamo più tempo, per esempio d’estate, curiamo di più il rapporto con Dio o se, invece, perdiamo anche quel poco che facciamo durante l’anno.
Quand’ero a Bologna, arrivavano quotidianamente molte cose per i poveri: vestiti, giocattoli e cibo. Qualcuno portava roba nuova o comunque molto curata, altri invece non si facevano problema a dare cibo scaduto o in confezioni aperte e abiti vecchissimi, rotti o poco puliti. Cosa ci stava dietro all’atteggiamento di questi ultimi? Io credo, poco amore; elemosina – nel senso negativo, che a volte si dà a questo termine -, ma non carità. La carità ha rispetto per chi ha bisogno; quando, invece di buttare via un vestito che io non metto più o il cibo, perché rischia di farmi male, lo do a un povero, significa che non ho rispetto per la sua dignità e quindi che non lo amo.
Alle persone amate si dà il meglio.
Dopo la morte di mia madre, ho ripensato con ammirazione, al fatto che in tutti gli anni in cui siamo stati insieme non ha mai scelto la parte buona delle pietanze, l’ha sempre lasciata a me e ai miei fratelli e l’ha sempre fatto come fosse stata la cosa più normale del mondo.
Alcuni mesi fa mi è capitata tra le mani l’autobiografia di un’attrice, famosa alcuni anni fa, alla quale è morto il figlio di 19 anni; anche lei scrive: “Adesso a chi darò la parte buona della bistecca?”.
Queste pensieri mi sono venuti in mente, leggendo della vedova del Vangelo di oggi. E’ una donna, una vedova, quindi una creatura in condizione di estrema fragilità nella società ebraica del I secolo; eppure offre a Dio, attraverso due a piccolissime monete gettata nel tesoro del tempio, il meglio che ha. Questa è una donna che ama e, chi ama esagera, non ha paura di fare troppo, anzi non si sente mai in pari.
Questa donna mi fa molto riflettere. Costei, senza saperlo, col suo gesto, continua a dire molto, dopo 2000 anni. Non mi consente di nascondermi dietro delle scuse o delle illusioni: l’amore per Dio deve incarnarsi in gesti concreti.
C’è un passo interessante del profeta Malachia: “Il figlio onora suo padre e il servo rispetta il suo padrone. Se io sono padre, dov’è l’onore che mi spetta? Se sono il padrone, dov’è il timore di me? Dice il Signore … a voi, sacerdoti che disprezzate il mio nome. Voi domandate: «Come lo abbiamo disprezzato il tuo nome?». Offrite sul mio altare un cibo impuro e dite: «In che modo te lo abbiamo reso impuro?». Quando … offrite un animale cieco in sacrificio, non è forse un male? Quando voi offrite un animale zoppo o malato, non è forse un male? Offritelo pure al vostro governatore: pensate che sarà soddisfatto di voi o che vi accoglierà con benevolenza?” (Mal 1,6ss). Siamo in un tempo in cui esistevano ancora i sacrifici come segno di fede; qual è il rimprovero? Che a Dio vengono offerti animali difettosi, gli scarti. Il Signore sa cosa significa ciò: poco amore.
Forse preferiremmo non sentircelo dire, ma questa donna accusa il nostro tempo, perché il nostro è il tempo degli scarti, degli avanzi. A Dio riserviamo normalmente l’ultimo posto, ma la cosa più triste è, che questo non ci preoccupa. Va bene così. Invece, oggi, siamo chiamati a prendere coscienza di come ci stiamo ponendo davanti a Dio e, a fare una scelta.
Proviamo a leggere i fatti. Cosa c’è dietro una vita di preghiera scarsa e superficiale? Perché non leggo la Parola di Dio? Perché non mi accosto al Sacramento della Riconciliazione con consapevolezza e pentimento? Perché il magistero del Papa e del Vescovo mi interessano tanto quanto il libretto di istruzioni di un trattore? Come mai non sono capace d'arrivare all’Eucaristia puntuale?
E’ perché sono come la povera vedova: oggettivamente povero di tempo – visto che viviamo in un tempo folle, che fa di tutto per non farci fermare? Oppure devo riconoscere che Dio non mi interessa particolarmente, per cui gli riservo la stessa attenzione e cura che si riservano a quei conoscenti che si salutano gentilmente, ma che non fanno parte della nostra esistenza?
La vedova è povera, ma quello che ha lo dà, perché ama. Posso dire di me, che quel che ho di buono, lo do a Dio?
La vedova, per sentirsi in pace con la coscienza, avrebbe potuto dire: “Sono povera, mi rimangono solo queste monetine; quindi, Signore non posso offrirti nulla”; invece quel poco, che in realtà è molto, lo dà.
Dobbiamo essere molto onesti con noi stessi, per non ingannarci inutilmente, tanto Dio legge il nostro cuore e sa. Guardiamo, per esempio, se quando abbiamo più tempo, per esempio d’estate, curiamo di più il rapporto con Dio o se, invece, perdiamo anche quel poco che facciamo durante l’anno.
Lasciamoci provocare da una piccola donna, la quale ci dice che la misura del dono è la misura dell'amore; oppure lasciamoci consolare, perché lei ci dice che quel poco che abbiamo, se lo offriamo con amore, è abbastanza.
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