Sapete cosa è un iceberg? E’ una grande massa di ghiaccio galleggiante – etimologicamente viene dall’olandese ijsberg, composto da ijs, ghiaccio e berg, monte -. Di questa enorme isola ghiacciata si vede solamente la vetta, ma la massa prevalente rimane sotto la superficie del mare.
Oggi, senza voler essere troppo banale, vorrei che pensassimo alla Chiesa di Cristo, come a un iceberg. Le due solennità che celebriamo in questi primi giorni di novembre, infatti, ci permettono di scrutare al di sotto della superficie, per intravvedere il mistero della Chiesa. Troppo spesso, infatti, la si riduce agli orizzonti limitati di ciò che possiamo vedere esteriormente, nella sua sola realtà terrena. Dimentichiamo invece, che sotto questa parte, seppur molto importante, c’è ben altro.
Sapete che un principio fondamentale è che la Chiesa celebra ciò che crede – lex orandi, lex credendi -. La liturgia è una scuola formidabile per tutti i cristiani, anche quelli più semplici, perché impartisce le verità profonde della fede, anche a chi non è istruito, attraverso le preghiere, i gesti e gli inni - le parole, i gesti, i silenzi, manifestano ciò che la Chiesa crede (per questo la liturgia non è a disposizione dei singoli perché la possano mutare a piacimento).
Più avanti, quando inizieremo la preghiera eucaristica, nel Prefazio (che inizia con: “E’ veramente cosa buona e giusta …”), ascolteremo: “Uniti all’immensa schiera degli angeli e dei santi cantiamo …”. Con queste semplici parole riconosciamo di essere insieme, in comunione con la Chiesa celeste, non solo con gli angeli, ma anche con tutti coloro che sono già giunti definitivamente alla presenza della SS. Trinità.
I santi; ma quali santi? Dall’Ap abbiamo ascoltato: “vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua” (Ap 7,9).
Quando pensiamo ai santi e alla santità, tendiamo a farci un’idea di eccezionalità. I santi sembrano essere più super eroi, che appartenenti al genere umano. In questo modo, però, la santità finisce per non essere roba per noi, comuni mortali. Diceva Madre Teresa di Calcutta, che “la santità non è un privilegio per pochi, ma una necessità per tutti”. Questo significa che la santità è il modo di essere cristiani. Alcune persone sono e saranno riconosciute pubblicamente sante, ma non sono e non saranno le uniche. Esse sono individuate in mezzo alla moltitudine dei santi anonimi, feriali, per ricordarci qual è la nostra vocazione, per darci un esempio; per non auto ingannarci (se l’hanno fatto loro, lo posso fare anch’io).
Oggi celebriamo proprio la festa dei santi anonimi, quelli per i quali non si festeggia in modo speciale. Questa è la festa delle persone sante che abbiamo incontrato nella nostra vita; questa è la nostra festa.
E’ la festa di coloro che con semplicità quotidiana hanno voluto e saputo vivere il Vangelo di Gesù Cristo. Hanno fatto miracoli? Si! Il miracolo della pazienza, del servizio, del perdono, del consiglio, della speranza, della tenerezza, della fiducia in Dio, vissuti con perseveranza, lì dove si svolge l’esistenza quotidiana, in tutta la sua ripetitività. Non gente che pensa e ha pensato solo ai massimi sistemi – la pace nel mondo, la fame nel mondo, ecc … -, dimenticandosi di vivere il Vangelo nel proprio mondo quotidiano.
Paradossalmente questa è la festa anche dei santi non dichiaratamente cristiani; quelli che per una qualche ragione non hanno potuto aderire alla Chiesa di Cristo, ma che, misteriosamente sono state ben inserite nel suo cuore. L’ha detto Gesù: “E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa» (Mt 10,42). Io stesso sono testimone di tanti gesti semplici e splendidi di carità.
C’è una santità straordinaria, ma ce n’è anche una ordinaria, fatta di gesti semplici, ma autentici. Possiamo essere poveri in spirito, afflitti, miti, avere fame e sete di giustizia …? Allora la santità è anche per noi. Cristo Gesù, il santo per eccellenza ce la chiede.
Oggi, senza voler essere troppo banale, vorrei che pensassimo alla Chiesa di Cristo, come a un iceberg. Le due solennità che celebriamo in questi primi giorni di novembre, infatti, ci permettono di scrutare al di sotto della superficie, per intravvedere il mistero della Chiesa. Troppo spesso, infatti, la si riduce agli orizzonti limitati di ciò che possiamo vedere esteriormente, nella sua sola realtà terrena. Dimentichiamo invece, che sotto questa parte, seppur molto importante, c’è ben altro.
Sapete che un principio fondamentale è che la Chiesa celebra ciò che crede – lex orandi, lex credendi -. La liturgia è una scuola formidabile per tutti i cristiani, anche quelli più semplici, perché impartisce le verità profonde della fede, anche a chi non è istruito, attraverso le preghiere, i gesti e gli inni - le parole, i gesti, i silenzi, manifestano ciò che la Chiesa crede (per questo la liturgia non è a disposizione dei singoli perché la possano mutare a piacimento).
Più avanti, quando inizieremo la preghiera eucaristica, nel Prefazio (che inizia con: “E’ veramente cosa buona e giusta …”), ascolteremo: “Uniti all’immensa schiera degli angeli e dei santi cantiamo …”. Con queste semplici parole riconosciamo di essere insieme, in comunione con la Chiesa celeste, non solo con gli angeli, ma anche con tutti coloro che sono già giunti definitivamente alla presenza della SS. Trinità.
I santi; ma quali santi? Dall’Ap abbiamo ascoltato: “vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua” (Ap 7,9).
Quando pensiamo ai santi e alla santità, tendiamo a farci un’idea di eccezionalità. I santi sembrano essere più super eroi, che appartenenti al genere umano. In questo modo, però, la santità finisce per non essere roba per noi, comuni mortali. Diceva Madre Teresa di Calcutta, che “la santità non è un privilegio per pochi, ma una necessità per tutti”. Questo significa che la santità è il modo di essere cristiani. Alcune persone sono e saranno riconosciute pubblicamente sante, ma non sono e non saranno le uniche. Esse sono individuate in mezzo alla moltitudine dei santi anonimi, feriali, per ricordarci qual è la nostra vocazione, per darci un esempio; per non auto ingannarci (se l’hanno fatto loro, lo posso fare anch’io).
Oggi celebriamo proprio la festa dei santi anonimi, quelli per i quali non si festeggia in modo speciale. Questa è la festa delle persone sante che abbiamo incontrato nella nostra vita; questa è la nostra festa.
E’ la festa di coloro che con semplicità quotidiana hanno voluto e saputo vivere il Vangelo di Gesù Cristo. Hanno fatto miracoli? Si! Il miracolo della pazienza, del servizio, del perdono, del consiglio, della speranza, della tenerezza, della fiducia in Dio, vissuti con perseveranza, lì dove si svolge l’esistenza quotidiana, in tutta la sua ripetitività. Non gente che pensa e ha pensato solo ai massimi sistemi – la pace nel mondo, la fame nel mondo, ecc … -, dimenticandosi di vivere il Vangelo nel proprio mondo quotidiano.
Paradossalmente questa è la festa anche dei santi non dichiaratamente cristiani; quelli che per una qualche ragione non hanno potuto aderire alla Chiesa di Cristo, ma che, misteriosamente sono state ben inserite nel suo cuore. L’ha detto Gesù: “E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa» (Mt 10,42). Io stesso sono testimone di tanti gesti semplici e splendidi di carità.
C’è una santità straordinaria, ma ce n’è anche una ordinaria, fatta di gesti semplici, ma autentici. Possiamo essere poveri in spirito, afflitti, miti, avere fame e sete di giustizia …? Allora la santità è anche per noi. Cristo Gesù, il santo per eccellenza ce la chiede.
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