Alcuni anni fa, l’allora vescovo di Bologna, il cardinal Giacomo Biffi, scrisse in una sua omelia natalizia: “La fortuna nostra, di noi che crediamo, è di conoscere il perché delle cose. Compiamo molte volte le stesse azioni di coloro che non credono; ma noi sappiamo perché si compiono. Per esempio, tutti facciamo festa a Natale; ma solo il credente ne conosce davvero la ragione. … Il Natale è la festa di un compleanno: è il compleanno di Uno che è vivo, perché solo dei vivi si ricorda ogni anno la nascita. … Dunque, quanti festeggiano il Natale, implicitamente riconoscono che Gesù è tra i vivi …”.
Noi sappiamo che il Natale ha a che fare non con qualcosa di vago, né con la pace o la famiglia o il bene – almeno non come prima cosa -, ma con Gesù Cristo. Il Natale è la festa per la nascita del Signore che è venuto per dirci qualcosa. Cosa?
Dovete sapere che, ancora nel tempo di Gesù – fino al 70 d.C., in Gerusalemme vi era un tempio straordinario per dimensioni (485 m di lunghezza e 315 di larghezza) e materiali di costruzione. Esso era la manifestazione concreta di come l’antico popolo di Israele intendesse Dio e il rapporto con Lui. L’area del tempio era costituita da una serie di cortili, rigidamente separati da muri, che operavano una progressiva selezione tra le persone: nel cortile più esterno potevano entrarvi tutti, anche i pagani, ma a quello successivo potevano accedere solo uomini e donne ebree – questo cortile aveva tredici varchi e ognuno di questi recava una lapide in pietra con un’iscrizione, che minacciava la pena di morte ai pagani che li avessero varcati. Superando la cosiddetta porta dei canti, si entrava nel cortile delle donne, poi salendo alcuni gradini e varcando un’altra porta (detta Bella), si accedeva al cortile degli uomini, qui un’ulteriore balaustra separava la parte dei sacerdoti. Finalmente si giungeva nel tempio vero e proprio, ma nell’atrio (detto Santo) potevano entrare solo i sacerdoti secondo dei turni ben precisi e, nel Santo dei Santi (considerato il luogo in cui cielo e terra si congiungevano, dove Dio poggiava i suoi piedi), vi entrava solo il Sommo Sacerdote e solo una volta all’anno.
Dio era sostanzialmente l’inavvicinabile, perché talmente Santo che l’uomo non avrebbe potuto reggere il contatto con Lui. A me fa impressione, pensare che solo uno poteva giungere fino alla presenza di Dio.
* Ecco allora la prima parola sconvolgente del Natale: Dio ha abbattuto ognuno dei muri all’interno dei quali era stato rinchiuso dagli uomini e ha dichiarato che gli esseri umani sono tutti degni di Lui: “di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva” (Ef 2,14); non ci sono esseri umani di serie A e di serie B; non ci sono figli e figliastri. A tutti è data la possibilità di entrare in relazione con Dio.
* Non solo ha scelto di uscire dal recinto sacro per raggiungere ogni uomo, ma lo ha fatto in una forma che non può lasciare dubbi sulle sue intenzioni. Come Scrive Gv nel suo Prologo “il Verbo si è fatto carne” (Gv 1,14), è diventato bambino, cioè un essere indifeso e dipendente, pur potendo legittimamente scegliere un modo diverso, più chiaro e convincente. E’ come se dicesse a ognuno di noi, da oltre duemila anni: “Non avere paura di me; non sono venuto per condannarti, per spiare ogni tuo passo e sferzarti ogni volta che cadi, ma per rialzarti, per indicarti la strada quando ti perdi, per prenderti per mano quando sei nel buio; per questo mi sono avvicinato a te con questo volto di bambino, per non spaventarti”.
* Scrive Luca: “(Maria) diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio” (Lc 2,7). La ragione deve essere strettamente pratica, in molti erano a Betlemme per il censimento e ogni luogo di accoglienza era pieno – non esisteva la prenotazione attraverso internet -, però credo che possiamo trovare un senso profondo anche a queste parole. Dio non è invadente, non si impone; Egli può entrare solo nella casa in cui gli si fa spazio. Se non c’è posto per Lui, attende. Il Dio di Gesù Cristo è un Dio “mendicante”, che bussa alle porte in attesa di una risposta. Non ha fretta e non è permaloso. Non se ne va, anche se lo facciamo attendere, siamo troppo preziosi e importanti per Lui.
Allora il Natale diventa per ognuno un appello di Dio: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). Dio chiede di entrare in casa mia e di restarvi, come disse una volta a Zaccheo: “Alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5). C’è il verbo “rimanere”; è più che fermarsi; è il verbo della dimora, della permanenza. «Oggi devo fermarmi a casa tua » significa: “Bisogna che io prenda dimora nella tua vita”, che io entri da te e resti con te. Oggi bisogna che questo avvenga.
Noi sappiamo che il Natale ha a che fare non con qualcosa di vago, né con la pace o la famiglia o il bene – almeno non come prima cosa -, ma con Gesù Cristo. Il Natale è la festa per la nascita del Signore che è venuto per dirci qualcosa. Cosa?
Dovete sapere che, ancora nel tempo di Gesù – fino al 70 d.C., in Gerusalemme vi era un tempio straordinario per dimensioni (485 m di lunghezza e 315 di larghezza) e materiali di costruzione. Esso era la manifestazione concreta di come l’antico popolo di Israele intendesse Dio e il rapporto con Lui. L’area del tempio era costituita da una serie di cortili, rigidamente separati da muri, che operavano una progressiva selezione tra le persone: nel cortile più esterno potevano entrarvi tutti, anche i pagani, ma a quello successivo potevano accedere solo uomini e donne ebree – questo cortile aveva tredici varchi e ognuno di questi recava una lapide in pietra con un’iscrizione, che minacciava la pena di morte ai pagani che li avessero varcati. Superando la cosiddetta porta dei canti, si entrava nel cortile delle donne, poi salendo alcuni gradini e varcando un’altra porta (detta Bella), si accedeva al cortile degli uomini, qui un’ulteriore balaustra separava la parte dei sacerdoti. Finalmente si giungeva nel tempio vero e proprio, ma nell’atrio (detto Santo) potevano entrare solo i sacerdoti secondo dei turni ben precisi e, nel Santo dei Santi (considerato il luogo in cui cielo e terra si congiungevano, dove Dio poggiava i suoi piedi), vi entrava solo il Sommo Sacerdote e solo una volta all’anno.
Dio era sostanzialmente l’inavvicinabile, perché talmente Santo che l’uomo non avrebbe potuto reggere il contatto con Lui. A me fa impressione, pensare che solo uno poteva giungere fino alla presenza di Dio.
* Ecco allora la prima parola sconvolgente del Natale: Dio ha abbattuto ognuno dei muri all’interno dei quali era stato rinchiuso dagli uomini e ha dichiarato che gli esseri umani sono tutti degni di Lui: “di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva” (Ef 2,14); non ci sono esseri umani di serie A e di serie B; non ci sono figli e figliastri. A tutti è data la possibilità di entrare in relazione con Dio.
* Non solo ha scelto di uscire dal recinto sacro per raggiungere ogni uomo, ma lo ha fatto in una forma che non può lasciare dubbi sulle sue intenzioni. Come Scrive Gv nel suo Prologo “il Verbo si è fatto carne” (Gv 1,14), è diventato bambino, cioè un essere indifeso e dipendente, pur potendo legittimamente scegliere un modo diverso, più chiaro e convincente. E’ come se dicesse a ognuno di noi, da oltre duemila anni: “Non avere paura di me; non sono venuto per condannarti, per spiare ogni tuo passo e sferzarti ogni volta che cadi, ma per rialzarti, per indicarti la strada quando ti perdi, per prenderti per mano quando sei nel buio; per questo mi sono avvicinato a te con questo volto di bambino, per non spaventarti”.
* Scrive Luca: “(Maria) diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio” (Lc 2,7). La ragione deve essere strettamente pratica, in molti erano a Betlemme per il censimento e ogni luogo di accoglienza era pieno – non esisteva la prenotazione attraverso internet -, però credo che possiamo trovare un senso profondo anche a queste parole. Dio non è invadente, non si impone; Egli può entrare solo nella casa in cui gli si fa spazio. Se non c’è posto per Lui, attende. Il Dio di Gesù Cristo è un Dio “mendicante”, che bussa alle porte in attesa di una risposta. Non ha fretta e non è permaloso. Non se ne va, anche se lo facciamo attendere, siamo troppo preziosi e importanti per Lui.
Allora il Natale diventa per ognuno un appello di Dio: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). Dio chiede di entrare in casa mia e di restarvi, come disse una volta a Zaccheo: “Alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5). C’è il verbo “rimanere”; è più che fermarsi; è il verbo della dimora, della permanenza. «Oggi devo fermarmi a casa tua » significa: “Bisogna che io prenda dimora nella tua vita”, che io entri da te e resti con te. Oggi bisogna che questo avvenga.
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