Qualcuno crede che la fede sia una garanzia per una vita senza scosse – pensano: se sarò fedele a Dio, Lui mi proteggerà e non consentirà che io soffra; qualcun’altro invece ha accusato e accusa la fede di essere “oppio dei popoli”. Sappiamo che l’oppio è una droga di origine naturale, con proprietà ipnotiche e stupefacenti. La fede avrebbe lo stesso effetto, cioè sarebbe un rifugio per non sentire il dolore per i colpi che la vita riserva.
Chi ragiona così, certamente non può accusare Dio di averlo illuso in tal senso; le parole di Gesù sono molto chiare: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che io vi ho detto: “Un servo non è più grande del suo padrone”. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra” (Gv 15,18ss).
Proviamo a scorrere anche il Vangelo odierno e avremo la conferma di quanto appena letto: “Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno …. Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome” (Mt, 10;21s).
Il Signore non dà alcuna garanzia per una vita tranquilla e serena, tutt’altro; Egli ci garantisce che, se gli saremo fedeli, cioè se la nostra esistenza concreta sarà simile alla sua, il “mondo” cercherà di eliminarci: “Se foste del mondo, il mondo vi amerebbe”. L’unico modo che i cristiani hanno per godere una tranquillità da parte del “mondo”, è: non dargli fastidio, ragionando e agendo in modo assolutamente identico alla maggioranza, e senza porsi troppe domande. Se agiremo così, il “mondo” non avrà bisogno di sprecare forze e risorse per ostacolarci.
Invece, quando i cristiani vengono percepiti come un pericolo, allora il discorso cambia.
E’ molto interessante un antichissimo testo tratto dalla “Lettera a Diogneto” – che ci dice qualcosa a questo proposito: “I cristiani … non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale …Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. … Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. A dirla in breve, come è l'anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani" (V,1ss – VI,1). I cristiani vivono negli stessi luoghi, ma non nello stesso modo: questo è il problema.
Non so se avete presente il racconto di Collodi, Pinocchio. Lì c’è un personaggio molto interessante, il Grillo-parlante; è colui che cerca di convincere Pinocchio a non fare scelte avventate ed errate, è, se così possiamo dire, la sua coscienza. «Io sono il Grillo-parlante e abito in questa stanza da più di cent’anni»: così si presenta (cap. IV). La coscienza è però facile da soffocare: è indomabile, pronta a insorgere, a criticare i pensieri, le decisioni, i comportamenti; ma al tempo stesso così fragile che può essere zittita da un’opposizione violenta: «Pinocchio ... preso di sul banco un martello di legno, lo scagliò contro il Grillo-parlante», il quale «ebbe appena fiato di fare cri-cri-cri, e poi rimase lì stecchito e appiccicato alla parete».
Se ci ostiniamo a essere coscienza critica del mondo, con le parole e, ancor più con la vita, qualcuno prenderà il “martello”, per schiacciarci contro il muro. Non sempre il mondo si serve della violenza verbale, a volte basta la derisione, la denigrazione, la falsa accusa gettata ai quattro venti, tanto, a forza di dire le cose, qualcuno le crederà. L’importante è mettere fuori gioco la luce che vuole ostacolare le tenebre.
Stefano è il protomartire, cioè il primo testimone serietà della fede. Parlare di un martire, non ci deve spingere a desiderare il martirio – come facevano i nostri predecessori - o a sentirci in colpa se ne abbiamo paura, ma aiutarci a non accontentarci di una fede che sta in superficie, che non mette in discussione, che non spinge a cambiare, che non si trasforma in testimonianza.
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