Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 3 gennaio 2010

LA LUCE SPLENDE NELLE TENEBRE

Il Prologo del Vangelo di Giovanni è come un forziere che contiene una quantità incredibile di pietre preziose; proviamo allora ad “aprirlo” per estrarne qualcuna e contemplarla.
Partiamo proprio dall’ultimo versetto: “Dio nessuno lo ha mai visto”: queste parole devono farci riflettere, perché affermano senza eccezioni che “nessuno” sa chi è Dio e come è Dio. Vuol dire che “nessuno” può arrivare a conoscere Dio per una proprio sforzo e una propria ricerca. In autonomia, al massimo, si può riconoscere l’esistenza di un dio all’origine di tutto, quello che san Tommaso ha definito “motore immobile”; questo però è un percorso "pericoloso", perché il rischio è di "costruire" un dio, piuttosto che conoscerlo.
Se ci fermiamo qui, però siamo destinati a rimanere sconfortati, perché un dio “motore immobile”, può nutrire la nostra mente, ma non scaldare il cuore. Per fortuna Gv scrive anche: “il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,18). C’è una via per sapere chi è Dio e quella via è Gesù Cristo: le parole, i gesti e l’intera esistenza terrena di Gesù, dall’incarnazione in Maria fino alla crocifissione, sono una rivelazione del volto di Dio. Quelli che affermano che le religioni sono tutte uguali e che Dio è lo stesso, pur cambiando nome, non solo sono molto superficiali, ma negano palesemente le parole di Gesù.
C’è un altro tema che mi appassiona molto in questo testo: il rapporto tra la luce e le tenebre.
Proviamo a scorrere alcuni vv. :
- La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno sopraffatta (1,5);
- Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce (1,7);
- venne per rendere testimonianza alla luce (1,8);
- La vera luce che illumina ogni uomo stava venendo nel mondo (1,9).
La prima cosa che emerge è che esiste la “tenebra”, cioè un qualcosa di oscuro che si oppone alla luce. Dal primo istante in cui Gesù si è incarnato, la “tenebra” ha cercato di metterlo fuori gioco – Erode, alcuni Farisei, alcuni sacerdoti, il potere romano, Giuda, uno degli Apostoli -. La tenebra è camaleontica, cioè sa adeguarsi ai tempi e ai luoghi e assume sempre nuove forme, ma resta comunque unica la sua origine: il male e il Maligno.
Chiaramente la tenebra deve sempre spacciarsi per luce, altrimenti nessuno la seguirebbe. Ricordate come nel giardino di Eden il Serpente ha convinto Eva? Non le ha detto: “mangia del frutto, siccome ti è stato proibito da Dio, perché ti danneggerà”; no, le ha detto: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Questa è la prima palese falsità. “Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò” (Gen 1,3ss).
La tenebra è inganno, per cui non può che ingannare. Il suo scopo è condurre l’essere umano nel buio dove non si vede la strada e quindi nel disorientamento; dove non si riconoscono i pericoli, per cui ci si può fare del male; dove non si può godere della bellezza; dove c’è paura (chissà cosa cela il buio).
Siamo chiamati oggi a riconoscere la tenebra dove è e a darle un nome, dobbiamo smascherare il camaleonte.
Guai però se i cristiani parlano solo di tenebra, noi infatti siamo figli della luce e portatori di luce: “Voi siete sale della terra e luce del mondo”, ci ha detto Gesù.
La nuova traduzione della Bibbia ha reso in maniera diversa un termine; là dove una volta leggevamo: “la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno accolta” (1,5), oggi troviamo “la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta”. Il verbo katelaben, infatti può significare ricevere, ma anche, conquistare. Con la prima traduzione si constatava l’esistenza “di un terribile ostacolo che la luce incontra sul campo della sua estensione, conferendo alla situazione una nota di pessimismo: la luce brilla ma non riesce a dissipare l’oscurità” ora invece si afferma il “carattere invincibile della Luce … così la Luce illumina il mondo e nessuna eclissi è possibile” (Paul Evdokimov, Il roveto che arde, Gribaudi, p. 17).
Noi siamo mandati a portare e a vivere questa bella notizia: la tenebra non è il destino dell’uomo e a indicare a chi vive nella tenebra – del peccato, del dolore, del disorientamento – che Cristo è la risposta.

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