Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

giovedì 11 febbraio 2010

CATECHESI EUCARISTICA 4

– Saluto del celebrante

Il Signore sia con voi”, assieme alle varianti proposte dal messale, non costituisce un augurio, ma l’affermazione della presenza di Cristo. Il Signore stesso ha annunciato ai suoi: “Io sono con voi fino alla fine del mondo” (Mt 28,19); dopo la Risurrezione, il Signore “sta” per sempre con il suo popolo mediante lo Spirito Santo. Il saluto e la risposta dell’assemblea: “e con il tuo spirito”, è un atto di fede nel quale il celebrante e l’assemblea si scambiano e si dicono la fede della Chiesa.

– Atto penitenziale

Dopo il saluto il sacerdote può fare una breve introduzione sulla messa del giorno; poi passa all’atto penitenziale che comporta una confessione generale e l’assoluzione del sacerdote.
Chiunque faccia un serio cammino di fede, non può non essere consapevole della propria pochezza rispetto alle esigenze del Vangelo. La Chiesa proprio perché di origine divina, ma anche profondamente umana, sa di questa condizione dell’uomo, per cui ha previsto questo momento che pur non sostituendo il sacramento della riconciliazione, non è un atto semplicemente formale.
Scrive Paolo ai Corinzi: “Ciascuno esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; poiché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1 Cor 11,28s).
La Didaché, un antichissimo scritto degli inizi del II secolo dice: “Nel giorno del Signore, riuniti, spezzate il pane e rendete grazie dopo avere confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro” (Didaché 14,1).
Lo spazio di silenzio dopo l’introduzione del sacerdote, serve per far si che si possano ricordare concretamente alcune cose più importanti, o più recenti. La formula con la quale esprimiamo il pentimento, riguarda tutti gli aspetti dell’agire umano: pensieri, parole, opere e omissioni. In particolare dobbiamo ricordare che, le parole possono costituire una grave violazione del comandamento di non uccidere: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna” (Mt 5,21-22).
Il momento della confessione riguarda primariamente Dio, ma anche i fratelli: “Confesso a voi fratelli”; ciò esprime la consapevolezza che il peccato umano ha sempre una ripercussione, anche se non apparente, sulla Chiesa.
Si fa riferimento anche alle omissioni, ossia al bène non fatto pur potendo. Riguarda quindi situazioni molto concrete: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”.
Chiaramente anche l’atto penitenziale perde ogni suo significato se non si accompagna al pentimento, ossia al dolore per le colpe commesse e al desiderio di non compierle più.
Segue l’assoluzione generale, che coinvolge anche il sacerdote: “Dio onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni in nostri e ci conduca alla vita eterna”. Il sacerdote ha un altro momento nel quale chiede perdono per i propri peccati ed è al momento del lavabo delle mani, quando pronuncia sotto voce: “Lavami Signore da ogni mia colpa, purificami da ogni mio peccato”. Questo atto è nato per una ragione molto pratica. Anticamente venivano presentate delle offerte in natura, animali, verdura ecc … e questo sporcava le mani del celebrante, da qui la necessità di lavarsele. S. Cirillo di Gerusalemme però assegna a questo gesto un significato più profondo; scrive: “Avete visto il diacono porgere l’acqua per l’abluzione al vescovo e ai presbiteri che circondano l’altare. Non la porgeva certo loro per lavare la sporcizia del corpo: non è così: non certo con il corpo sporco fin dall’inizio siamo entrati nella Chiesa. L’abluzione delle mani è simbolo della necessaria purificazione da tutti i peccati e trasgressioni. Le mani infatti sono simbolo dell’agire e lavandole alludiamo alla purezza e irreprensibilità del nostro agire. … L’abluzione delle mani è dunque simbolo dell’immunità dal peccato” (Catechesi mistagogiche).

– Invocazioni

Ritroviamo spesso nei Vangeli frasi analoghe al “Signore pietà” o “Kirye Eleison”, sulla bocca di individui che si rivolgono a Cristo. I due ciechi gridano a Gesù: “Figlio di Davide, abbi pietà di noi” (Mt 9,27), la cananea, che aveva la figlia ammalata, si mette a gridare: “Pietà di me, o Signore, figlio di Davide” (Mt 15,22); i dieci lebbrosi: “Gesù maestro, abbi pietà di noi” (Lc 17,13).
Si tratta quindi di un canto o di una invocazione, attraverso il quale i fedeli acclamano il Signore e implorano la sua misericordia di fronte al nostro peccato.

– Gloria

Il “Gloria” chiamato anche Dossologia grande è un inno antichissimo. Originariamente era una preghiera del mattino, conservata nelle “Costituzioni Apostoliche” della fine del IV secolo.
Inizialmente, quando fu inserito nella liturgia eucaristica, era riservato alla recita da parte del Vescovo, poi, dall’XI sec. è stato esteso a tutti.
Il “Gloria” è lode al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, anche se di quest’ultimo si fa un accenno molto breve.
L’introduzione proviene dal canto che gli angeli hanno intonato a Betlemme sulla mangiatoia del neonato Messia.
Nella prima strofa si inneggia a Dio. Con essa lodiamo, benediciamo, adoriamo, glorifichiamo, rendiamo grazie a Dio Padre a causa della sua gloria. Si loda Dio, solo perché è Dio, in modo disinteressato e senza volere alcunché in cambio. Questa è una preghiera di lode.
La seconda strofa invece riguarda Gesù redentore, colui che “toglie i peccati del mondo” e colui che è Signore e “siede ala destra del Padre”. A Lui vengono poi attribuiti i titoli tipici di Dio: Signore, Santo, Altissimo. Con questo inno esprimiamo la nostra fede nella divinità di Gesù e nel suo ruolo salvifico per noi.

Nessun commento:

Posta un commento