I DOMENICA DI QUARESIMA
Gesù prima di iniziare la sua missione pubblica è stato condotto nel deserto dove è rimasto per quaranta giorni digiunando. Il Signore aveva davanti a sé, oltre a grandi incontri e straordinarie esperienze, fatiche, rischi, umiliazioni, irriconoscenza. Egli si è “preparato” nel deserto. Perché proprio lì? Perché il deserto è un luogo di estremo silenzio ed essenzialità, dove è più facile spogliarsi ed essere spogliati di tante sicurezze e, quindi, lasciare spazio a Dio: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34).
La Quaresima è il tempo dei “fioretti”? E’ sufficiente fare alcune piccole rinunce, per poter dire di avere vissuto la Quaresima?
E’ come domandarsi, se è sufficiente fare venti piegamenti sulle gambe o quindici flessioni? Dipende dal fine che voglio raggiungere, per che cosa devo prepararmi. Se devo partecipare alla maratona, è chiaro che venti piegamenti sulle gambe sono inadeguati, ma se devo riscaldare i muscoli possono bastare.
Chiediamoci allora cos’è la Quaresima, per valutare l’adeguatezza delle nostre scelte.
Essa è un periodo particolare, un tempo “forte”, diverso, che non può essere uguale agli altri giorni dell’anno. In questi quaranta giorni ci è data l’occasione per prepararci più intensamente a vivere la Pasqua di Risurrezione. Quindi il fine fondamentale della Quaresima è arrivare a vivere in maniera nuova la Pasqua di Risurrezione.
Cos’è la Pasqua di Risurrezione?
- E’ innanzitutto la memoria di un amore grande: quello di Dio per me, che lo ha spinto a lasciarsi umiliare e uccidere per uno come me: “Non c’è un amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13);
- è la memoria di una liberazione – Dio mi ha liberato “come l’uccello dal laccio dei cacciatori; il laccio si è spezzato e noi siamo scampati” (Salmo 123,7) -; grazie a Gesù Cristo io non ho più padroni che mi rendono schiavo;
- è poi memoria di una vittoria: quella della vita sulla morte.
Scrive san Giovanni nella sua bellissima prima lettera: “Da questo conosciamo di essere in lui. Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato”(1Gv2,6); questo significa che la Pasqua è promessa per noi – risorgeremo come Gesù è risorto -, ma anche impegno: l’amore con il quale Gesù ama, deve lentamente diventare il nostro: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 13,34) e, la libertà che ci ha regalata, non deve essere sprecata; ci chiama a vivere da creature libere.
Ecco allora qual è il fine della Quaresima: crescere in queste due direzioni: amore e libertà.
La Quaresima è quindi tempo di pentitenza nel suo senso più pieno, cioè di conversione; non è questione di cambiamento esteriore, ma di profonda trasformazione interiore. In una sua recente lectio, papa Benedetto ha affermato che “l’essere precede l’agire … non possiamo obbedire a una legge che sta di fronte a noi, ma dobbiamo solo agire secondo la nostra nuova identità”; la nostra Quaresima dovrebbe essere proprio questo: lasciare che il Signore porti avanti la sua opera di trasformazione in noi. Non bastiamo a noi stessi; non è sufficiente la nostra volontà. Come potremmo costringerci ad amare? Come a essere liberi se, come scrive san Paolo stesso: “Io so infatti che in me … c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Rn 7,18s)?
In questa Quaresima dobbiamo anche noi andare nel deserto, per cercare di eliminare ciò che ci ostacola nell’ascolto della volontà del Signore e che impedisce a Dio di operare liberamente in noi.
Dobbiamo chiederci, allora, prima di tutto cosa ostacola l’azione del Signore in noi e, dopo, potremo individuare le forme concrete della penitenza. Non è detto che ciò che andava bene l’anno scorso, vada bene anche per quest’anno.
Se la Quaresima è vissuta con profondità, non rimane solamente una preparazione alla Pasqua, ma una preparazione per la vita con tutte le sue difficoltà e domande. Un tempo prezioso come questo non dobbiamo lasciarcelo scappare. Il Signore ci chiama a fermarci un po’, a riguardare la nostra esistenza, per vedere cosa ha bisogno di conversione, cosa deve essere risanato e cosa invece può andare tranquillamente avanti.
In questi giorni ci è data la possibilità di dedicare al nostro spirito, almeno lo stesso tempo che dedichiamo alla cura del nostro corpo.
Anni fa andai in Albania che, allora, era ancora un paese poverissimo; in centro a Tirana c’erano tutti i palazzi dei ministeri, ben intonacati e dipinti, ma bastava girare l’angolo per vedere l’abbandono della parte non in vista. A volte noi rischiamo di essere così: curiamo l’esterno, solo ciò che si vede. Questo è il tempo per ristrutturare l’interno.
Nel libro del Siracide troviamo queste parole: “Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione” (Sir 2,1); se il nostro cammino sarà serio, troveremo il diavolo pronto a tentarci, cioè a cercare di farci arrendere. Egli non vuole che alcuno si salvi.
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