Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

giovedì 18 marzo 2010

Educare: saltare più in alto o abbassare l’asticella?

di Filippo Morlacchi
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Trovo le riflessioni di questo sacerdote estremamenti stimolanti e condivisibili. Da quando insegno religione alle scuole medie, mi imbatto constatemente con questa problematica: insegnare a saltare più in alto o abbassare l'asticella? La seconda soluzione è indubbiamentela più semplice e, a volte sembra essere l'unica percorribile, ma siamo sicuri che aiuti i nostri ragazzi?
Chiaramente la questione non riguarda solo la sessualità, ma tutta la formazione dei giovani. Direi poi che possiamo estendere la domanda anche alla formazione cristiana di tutti, adulti compresi. Di fronte alla preoccupante ignoranza religiosa, per esempio, come agire? Abbassiamo ulteriormente l'asticella o cosa?
Proprio ieri, ritornando sconfortato da scuola, mi sono venute alla mente le sagge parole di un Salmo che mi danno la risposta: "Chi semina nelle lacrime, mieterà con giubilo. Nell'andare se ne va e piange, portando la semente da gettare, ma nel tornare viene con giubilo, portando i suoi covoni". Credo che dobbiamo perseverare; dobbiamo desiderare che i nostri ragazzi maturino e non semplicemente crescano.

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La sessualità è una dimensione strutturale della persona, che ci coinvolge a ogni livello: bio-fisiologico, psicologico, affettivo, etico e spirituale. Proprio l’incapacità di far interagire tutti i livelli dell’esperienza umana relativi alla sessualità è causa di profonde insoddisfazioni, laceranti sofferenze, o addirittura gravi tragedie. Pertanto un’educazione sessuale che non tenga conto della formazione integrale della persona risulta non solo impoverita, ma anche falsata, e in pratica condannata al fallimento.
La recente notizia che un liceo romano, dando applicazione a un’iniziativa della Provincia di Roma, ha deciso di installare distributori di preservativi nei bagni dell’istituto, mi ha fatto ripensare all’Africa. E in particolare alle sue scuole.
In molti paesi africani il livello di alfabetizzazione è ancora tristemente basso. Per superare questa deplorevole situazione, alcuni governi hanno emanato direttive che impongono ai maestri di promuovere tutti i bambini, indipendentemente dalla loro partecipazione alle lezioni e dai risultati di apprendimento conseguiti. Così moltissimi di loro continuano a non saper né leggere né scrivere, ma possono vantare un curricolo scolastico più avanzato. Il risultato è che le statistiche rilevano una maggior alfabetizzazione (da noi si direbbe: un più diffuso successo scolastico), ma di fatto i bambini sono al punto di prima.
In effetti, per ottenere un certo risultato o per raggiungere un dato “benchmark” si possono seguire due strategie: o si insegna a saltare più in alto, o si abbassa l’asticella. Fuori di metafora: o si aumentano le prestazioni, o si abbassano gli standard richiesti. Da un punto di vista formale, l’obiettivo può dirsi raggiunto in entrambi i casi. E qui mi chiedo: siamo sicuri che il distributore di profilattici nei bagni rappresenti un vero risultato educativo? È una scelta che insegna qualcosa – ciò che la scuola dovrebbe fare – oppure è solo un “abbassare l’asticella”, rassegnando le dimissioni rispetto ad un compito educativo ritenuto ormai impraticabile?
Le prime malattie dalle quali proteggere la sessualità sono l’egoismo e l’insensatezza. Viviamo una stagione in cui la scuola sta finalmente riscoprendo la sua originaria vocazione educativa. Da ogni parte si auspica che le istituzioni non si limitino a fornire agli studenti un’istruzione teorica, o a consegnare abilità tecnico-pratiche; tutti chiedono, insistentemente, docenti capaci di fornire, sì, contenuti disciplinari più solidi (e quanto ci sarebbe da dire, a questo proposito!), ma anche e soprattutto un tessuto di valori condivisi, che aiuti ad affrontare la vita responsabilmente.
Siamo sicuri che nel delicatissimo campo della crescita affettiva e sessuale il massimo della responsabilità che possiamo proporre a degli adolescenti (non si dimentichi che la maggioranza degli alunni di liceo è composta da minorenni!) sia rappresentata da un presidio medico-sanitario? È illusione pensare che molti ragazzi aspettino ancora una parola più alta del semplice “fai quel che ti pare, ma non farti male”?

«L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente». Così scriveva nella Redemptor Hominis (1979) papa Giovanni Paolo II.

Non mi pare che i ragazzi di oggi abbiano bisogno di un addestramento a un uso corretto e igienico della meccanica sessuale. Mi sembra piuttosto che abbiano un disperato bisogno di qualcuno – adulto – che parli loro di amore. Che è l’unica cosa che rende sensato l’esercizio della sessualità.

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