“Un santo è un uomo che non blocca lo sguardo verso la luce di Dio con l’ombra della sua persona, ma che, invece, attraverso la sua esistenza è diventato una specie di finestra che, da questo mondo, ci lascia vedere la luce di Dio”. Credo che questa citazione dell’allora cardinal Ratzinger definisca con semplicità e completezza il ruolo dei santi. Essi non vogliono bloccare con la loro persona lo sguardo verso la luce di Dio, ma essere strumento per incontrare Dio.
Quando fanno da schermo? Quando la nostra attenzione, il nostro amore, la nostra preghiera si ferma a loro. E’ chiaro che in questo caso non sono loro a fare da schermo, ma sono resi schermo.
Quando ero a Bologna, ero anche economo del mio convento e responsabile delle cassette delle offerte, per cui sapevo quali erano i santi più quotati. Davanti all’altare del SS. Sacramento le offerte erano sempre abbondanti, però sopra il tabernacolo c’era una bella statua di Maria e per la festa dell’Immacolata l’abbiamo tolta per metterla all’altezza dei fedeli presso l’altare maggiore. Lì mi sono accorto che le offerte erano state deviate dalla cassetta presso il SS. a quella per Maria. Chissà come è contenta Maria quando gli esseri umani preferiscono lei a suo Figlio; quando scopre di fare da schermo.
Quando si fa festa per un santo, quindi, non ci si può fermare a parlare di lui e della sua vicenda, ma bisogna arrivare a parlare di Dio. Il protagonista deve essere sempre Lui.
Del resto tutto ciò che conosciamo di Giuseppe è che è stato a servizio del progetto di Dio e poi è scomparso dalla scena: come è vissuto, come è finito? Non sappiamo nulla. Di lui afferma il Vangelo, che era “lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo” (Mt 1,16). Si parla di lui, ma in relazione a sua moglie e al figlio di lei.
Giuseppe è, usando il linguaggio del cinema, un attore non protagonista, il cui ruolo però è importantissimo, perché Dio vuole avere bisogno della collaborazione libera degli uomini.
Anche nella nostra vita di tutti i giorni è un guaio quando incappiamo in persone che vogliono solo stare al centro della scena e non dietro le quinte - quanta riconoscenza deve la Chiesa a quelle migliaia di persone che servono in silenzio, senza ruoli riconosciuti; sono i santi alla san Giuseppe, che non per niente è ricordato come “Redemptoris custos”, cioè custode del Redentore: lo ha allevato, mantenuto, educato, difeso e servito, poi è scomparso -.
Gesù figlio di Maria, veramente Dio, ma anche veramente uomo, deve avere fatti suoi gli atteggiamenti di questo suo padre terreno; se Gesù è stato quello che è stato, se ha fatto quello che ha fatto, certamente è perché ha imparato anche da suo padre e da sua madre.
Gesù a un certo punto della sua vicenda pubblica ha detto: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me” (Mc 10,37); tutto ciò che Gesù ha detto, lo ha fatto, non c’è mai in Lui separazione tra parola e vita. Anche in questo caso Egli dice con chiarezza, anche a costo di ferire i suoi: “Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Gli sta dicendo: “Vi voglio bene, ma c’è qualcuno che deve prevalere in tutto ciò che faccio e farò: Dio”.
Giuseppe non può lamentarsi, perché, come dicevo prima, glielo ha insegnato lui – Giuseppe non ha fatto altro, per quanto ne sappiamo, che mettere la sua vita a disposizione di Dio -.
La parola di Dio, non è mai per gli altri, non è mai generica, è per me. Come mi metto di fronte alla “volontà del Padre mio”? Quanta parte ha nella amia esistenza? Quando la volontà di Dio contrasta con la mia o con quella di chi mi sta intorno e può condizionarmi, a chi do ascolto?
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