VI DOMENICA DI PASQUA
Ancora una volta Gesù ci chiama a fare verità: “Se uno mi ama osserverà la mia parola … Chi non mi ama non osserva le mie parole …”(Gv 14,23s). E’ evidente che il verbo “osservare” non significa “guardare”, ma è sinonimo di “mettere in pratica”, “vivere”. Se mettere in pratica la parola di Gesù nel concreto dell’esistenza, non rientra tra le nostre priorità, dobbiamo chiederci se veramente Lo amiamo. Ci scrive l’apostolo Giovanni: “Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità” (1Gv 3,18).
Chi di noi se la sente di affermare di vivere in pienezza la parola di Dio? Pensiamo solo a quanto ci ha detto Gesù domenica scorsa: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. Io certamente no. Allora non ci resta che piangere sconsolati?
Ognuno di noi può cominciare o continuare a nutrirsi della parola; possiamo lasciarci affascinare dalla sua bellezza, per la capacità che essa ha di consolare, provocare, orientare, illuminare, risanare; possiamo maturare la consapevolezza che in essa Gesù ci indica la via vera della vita. Se la parola diventa nostro vero cibo, allora inevitabilmente, anche se con tempi e modi diversi per ognuno di noi, essa entra nella nostra carne e la trasforma. Cito due splendidi testi: “Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” (Is 55,10s) e “la sua legge medita giorno e notte. È come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo” (Salmo 1,2). Non dobbiamo sforzarci a mettere in pratica la parola, come se potesse bastare la nostra fragile volontà, ma dobbiamo sforzarci di nutrircene, affinché essa stessa ci trasformi dal di dentro, per la forza stessa che il Signore le ha data; solo allora la nostra vita produrrà nuovi frutti.
Dobbiamo accettare la sfida, indipendentemente dall’età e dal livello culturale. Il Cristianesimo non è per gli intelligenti, ma per chiunque è aperto e disponibile alla grazia di Dio. Ricordate cosa scrisse Paolo ai Corinzi? “Non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio” (1Cor 1,26ss). La parola di Dio non ci serve per avere una qualche conoscenza di Dio, ma affinché Egli venga ad abitare in noi.
Dobbiamo smetterla di lasciarci bloccare in questo cammino dalla scusa che la parola di Dio è difficile. Prima di tutto molto spesso la parola è estremamente chiara, poi, inevitabilmente all’inizio di un cammino ciò che si deve imparare è difficile, ma lentamente le cose cambiano – ricordo quando presi la patente di guida e gli errori, per non dire le sciocchezze che feci le prime volte che misi le mani sul volante, ma ora ... -. Non serve la cultura o meglio, non è indispensabile, perché Gesù ci ha lasciato in buone mani, ci ha affidati allo Spirito Santo, l”ospite dolce dell’anima”; colui che ci “insegnerà ogni cosa e (ci) ricorderà tutto ciò che (Gesù) ha detto” (Gv 14,26); “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito” (1Cor 2,9s)..
San Giovanni Crisostomo (344-407 - patriarca di Costantinopoli) ci consegna delle parole bellissime ma provocatorie: “Applicatevi con impegno alla lettura della Sacra Scrittura, non solamente quando vi riunite qui, ma anche quando siete in casa. … Nessuno deve esimersi da questo dovere dicendo: “Non sono religioso né monaco, ho moglie e figli e la responsabilità di una casa”. Ecco la grande piaga del nostro tempo: credere che la lettura della Scrittura sia buona solo per i religiosi, mentre i secolari ne hanno maggiormente bisogno. Infatti quelli si trovano nel vivo del combattimento e ricevono ogni girono nuove ferite” (Omelie sulla Genesi, 29,2; 35,1-2).
Concludo con le parole di Erasmo da Rotterdam (1466-1536): “Se arriva qualcosa dai Caldei o dagli Egizi, bramiamo ardentemente di conoscerlo proprio perché viene da un mondo a noi estraneo e l’arrivare da lontano fa parte del suo valore. Spesso sulle fantasie di un poveruomo, per non dire di un impostore, ci tormentiamo ansiosamente … con grande spreco di tempo … Ma come mai una curiosità di questo genere non stuzzica l’animo dei Cristiani, che sanno benissimo che la loro dottrina non viene dall’Egitto o dalla Siria, ma dal cielo stesso?”
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