Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

mercoledì 30 giugno 2010

IL SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE 7

Perché confessarsi?

Faccio una doverosa premessa: in questa parte della catechesi utilizzo molti testi di D. Bonhoeffer - un pastore protestante fatto uccidere da Hitler -. Essendo un protestante, egli non riconosceva il valore sacramentale della Riconciliazione, mentre per noi è indubbio che esso è un sacramento donato da Gesù Cristo alla sua Chiesa, però Bonoheffer ha delle intuizioni molto belle che credo possa farci molto bene consocere.


***


Confessate l’un l’altro i vostri peccati” (Gc 5,16). … Il Vangelo ci pone nella verità, dicendo: tu sei un peccatore, grande e senza speranza di salvezza; ma presentati per quello che sei, un peccatore, al tuo Dio, che ti ama. Egli ti accoglie così come sei, non pretende nulla da te, né sacrifici, né opere, vuole te soltanto. …”.[1] Il Vangelo ci pone nella verità, afferma Bonhoeffer; effettivamente se ci lasciamo illuminare dalla Parola, emerge la parte oscura di noi; ciò di cui non ci siamo mai accorti diventa dolorosamente evidente. La Parola ci “ferisce” per salvarci, non per umiliarci o per chiuderci in un circuito senza uscita, come il senso di colpa: “Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2Tm 3,16).

Il Signore ci corregge per guarirci e non può esserci guarigione senza avere prima individuato la malattia. Chi crede di essere sano non si lascerà mai curare.

Bonhoeffer afferma anche: “Davanti a Dio non puoi nasconderti. Davanti a Lui non serve la maschera che porti agli occhi degli uomini. Egli vuole vederti così come sei e vuol farti grazia. Non occorre più che tu inganni te stesso e il tuo fratello, come se fossi senza peccato; ora ti è consentito essere peccatore, ringraziane Dio; Egli infatti ama il peccatore, ma odia il peccato”. Il Salmo 139 esprime lo stesso concetto:

“Signore, tu mi scruti e mi conosci,

tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo,

intendi da lontano i miei pensieri,

osservi il mio cammino e il mio riposo,

ti sono note tutte le mie vie.

La mia parola non è ancora sulla lingua ed

ecco, Signore, già la conosci tutta.

Alle spalle e di fronte mi circondi

e poni su di me la tua mano.

Meravigliosa per me la tua conoscenza,

troppo alta, per me inaccessibile.

Dove andare lontano dal tuo spirito?

Dove fuggire dalla tua presenza?” (Sal 139,1ss)

Queste parole potrebbero farci preoccupare, farci sentire in ansia per questo sguardo scrutatore, in realtà questo è lo sguardo di un padre attento a che il proprio figlio non si faccia male, pronto per sorreggerlo.

Gesù ha affidato ai suoi il compito preziosissimo di “rimettere” i peccati: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” (Gv 20,23). Egli non ha affidato ai suoi ministri un potere arbitrario – non è il pastore che decide chi perdonare, andando a simpatia -, però la via maestra che il Signore ha scelta per concedere il suo perdono e la sua misericordia è quella che passa per degli uomini. Questo è un segno della sapienza divina; Dio sa che noi abbiamo bisogno di toccare con mano, di vedere con i nostri occhi e che ci sono situazioni di peccato, nelle quali il peccatore ha bisogno di sentire la parola delle misericordia, non è sufficiente l’autoassoluzione. Tra l’altro “se ci rimettiamo i peccati da soli, non saremo mai in grado di tagliare definitivamente i ponti con il peccato” [2]. C’è un detto che recita: “Le leggi per gli amici si interpretano, per gli altri si applicano”; quanto più se il riferimento è a se stessi. Non è difficile incontrare persone che trovano sempre una giustificazione per il proprio peccato oppure lo minimizzano – i famosi peccati di tutti giorni -. Chi minimizza, normalmente non è in un cammino di conversione, perché ritiene che ci siano dei peccati che tutto sommato è lecito fare, tanto non sono gravi. Per esempio se noi parliamo male di qualcuno, lo consideriamo un peccato veniale, ma se gli altri parlano male di noi è un peccato mortale. E’ come dire che la moglie non la si può picchiare con la cinghia, però darle qualche sberla sì.

Scrive Bonhoeffer che ”il peccato esige che l’uomo sia solo. Lo sottrae alla comunione. Quanto più è solo, tanto più distruttivo è il dominio del peccato, tanto più disperata la solitudine. Il peccato vuole rimanere sconosciuto. Ha orrore della luce. Nell’oscurità dell’inespresso il peccato avvelena tutto l’essere dell’uomo. … Nella confessione, la luce dell’Evangelo irrompe nelle tenebre e nell’oscurità in cui il cuore si chiude. Il peccato è costretto a venire alla luce. … Il peccato reso esplicito nella confessione perde tutto il suo potere. … La confessione davanti al fratello è la più profonda umiliazione, fa male, ci mette a terra, abbatte la superbia senza risparmiarla. Presentarsi al fratello come peccatore è una vergogna che si sopporta difficilmente. Nella confessione dei peccati concreti l’uomo vecchio muore fra i dolori di una morte ignominiosa in presenza del fratello. Questa umiliazione è così pesante, che pensiamo sempre di poter fare a meno della confessione … I nostri occhi sono così abbagliati, da non scorgere più la promessa e la gloria di tale umiliazione. … Nella confessione si apre la strada verso la nuova vita. Quando si odia il peccato, lo si riconosce e si ha la remissione, si ha la rottura con il passato. “Le cose vecchie sono passate”. E dove si è rotto ogni rapporto con peccato, c’è la conversione. La confessione è conversione. “Ecco, tutte le cose sono divenute nuove” (2Cor 5,17).”. [3]

Il sacramento della riconciliazione permette di svelare il male e di colpirlo.

Chi si confessa deve guardarsi dal fare della propria confessione un’opera di devozione. Infatti sarebbe … un chiacchierare per proprio gusto. … L’unico motivo per cui possiamo osare di immergerci nella profondità della confessione è esclusivamente l’offerta della grazia di Dio, dell’aiuto e della remissione, possiamo confessarci solo in vista della promessa di assoluzione. … La remissione dei peccati è il solo motivo e scopo della confessione”.[4]

Purtroppo è molto diffusa la confessione devozionale – i primi venerdì del mese, i primi sabati del mese, per i morti, per i matrimoni ecc … -; in questi casi a muovere il penitente non è la consapevolezza del proprio peccato e l’esigenza di consegnarlo nelle mani di Dio, bensì una ragione esterna. Diverso è il caso invece se un matrimonio, un funerale, i primi venerdì del mese sono un’occasione in più, uno stimolo per accostarsi al sacramento.

La confessione serve alla comunità cristiana specialmente a preparare la partecipazione comune alla Santa Cena. I cristiani vogliono ricevere il corpo e il sangue di Gesù Cristo riconciliati con Dio e con gli uomini. E’ il comandamento di Gesù, che nessuno si presenti all’altare se il suo cuore non è riconciliato con il fratello. … Nessuno può accedere alla mensa del Signore con la preparazione adeguata, se cerca di evitare quell’incontro col fratello. E’ necessario che i fratelli eliminino ogni sorta d’ira, di contesa, di invidia, di maldicenza e di comportamento poco fraterno, se vogliono ricevere insieme la grazia di Dio nel sacramento”[5].

E’ indispensabile accedere al sacramento della Riconciliazione per poter partecipare all’Eucaristia, ma non nel senso che è sufficiente un ingresso formale nel confessionale per ricevere un’assoluzione, confusa a volte con una benedizione, che non nasce da vera consapevolezza e pentimento. Non è sufficiente nemmeno inventarsi qualcosa su due piedi o leggersi tre minuti prima di entrare i foglietti che oramai sono presenti davanti a ogni confessionale.

Il sacramento della Riconciliazione è il punto di arrivo di un cammino; è la logica conseguenza del rapporto d’amore che si vive con Dio. Affinché ci possa essere comunione con Dio, che si manifesta nella comunione eucaristica, è necessario che si sia fatto tutto il possibile per essere in comunione con i fratelli: “Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” (Mt 5,23s); Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte” (1Gv 3,14); “Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amor” (1Gv 4,8); “Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20).

L’Eucaristia chiama alla comunione e spinge alla conversione.



[1] D. Bonhoeffer, La vita comune, Queriniana, p. 84

[2] Ib. p. 88

[3] Ib. 85

[4] Ib. p. 91

[5] Ib. p. 91

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