XVIII DOMENICA T.O.
“Se dunque siete risorti con Cristo …” (Col 3,1); come mai Paolo afferma che siamo risorti, se non siamo ancora morti?
Perché egli parla a dei battezzati. Scrive l’apostolo: “Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4).
Nella tradizione liturgica africana l’immersione battesimale era compiuta secondo la cosiddetta ‘forma verticale’ (in piedi), con ogni probabilità nella Milano di sant’Ambrogio, e in genere nell’antica area siciliana, essa era compiuta secondo la cosiddetta ‘forma orizzontale’ (distesi); quest’ultimo tipo di immersione permetteva di riprodurre esattamente e visivamente l’atto stesso della sepoltura: il battezzando veniva così sepolto con Cristo e, rialzandosi, ne imitava la resurrezione. Scrive Ambrogio: “Ieri abbiamo trattata del fonte, il cui aspetto corrisponde in un certo modo alla forma di un sepolcro, nel quale, dopo aver professato la nostra fede nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, siamo accolti e immersi ed emergiamo, cioè risuscitiamo” (I Sacramenti III,1,1). Per significare la risurrezione, il fonte o il battistero aveva forma ottagonale, a indicare che il Battesimo introduce l'uomo, dopo la giornata terrena (7), nella vita eterna (7+1). Noi tutti siamo morti e risorti il giorno del nostro Battesimo.
Quindi proprio a noi Paolo dice: “cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3,1s).
Come interpretare queste parole: in senso assoluto? Così rischieremmo di sentirci chiamati a un’esistenza un po’ disincarnata, quasi angelica, dimenticando che il Verbo di Dio si è fatto carne e ha scelto di condividere in tutto e per tutto la nostra esistenza, con le legittime e necessarie preoccupazioni della vita materiale.
Lo stesso san Paolo, insieme a Timoteo scrive ai Tessalonicesi, ricordando loro “il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno” (1Ts 2,9) e “chi non vuol lavorare, neppure mangi” (2Ts 3,10).
“I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. ... Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. … Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne” (Lettera a Diogneto V,1ss).
Da quale rischio ci vuole mettere in guardia Gesù?
Il Signore ci invita a ricordare che noi siamo sue creature, liberate da Lui e come tali dobbiamo cercare di vivere, pur condividendo la stessa esistenza dei nostri simili. Noi non siamo semplicemente degli animali un po’ più evoluti, siamo il vertice del creato, siamo delle persone fatte a immagine e somiglianza di Dio e, per natura, non possiamo accontentarci, come gli animali, del soddisfacimento dei bisogni materiali. Chi fa questo, si autocondanna all’infelicità.
Oggi siamo chiamati a non illuderci che, una volta soddisfatto il corpo – vestito, nutrito, coperto, sano – tutto è a posto. Noi sappiamo che tutto questo è indispensabile, ma non basta.
Nel Vangelo Gesù ci presenta un personaggio di questo genere: “un uomo … ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divèrtiti!” (Lc 12,16ss). Una volta che hai mangiato, bevuto e ti sei divertito, cosa ti rimane tra le mani?
Anche se non sempre ne siamo consapevoli, finché non alzeremo lo sguardo; finché non sceglieremo fermamente di vivere da cristiani, lasciando entrare Dio nella nostra storia, rischieremo di essere persone, nella migliore delle ipotesi, incomplete.
Siamo richiamati a dare il giusto peso alle cose, a rimettere in ordine i valori, a ridare allo spirito una centralità perduta. Quando farlo? Quando cominciare? Scrive l’apostolo Giacomo: «Oggi o domani andremo nella tal città e vi passeremo un anno e faremo affari e guadagni», mentre non sapete quale sarà domani la vostra vita! Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare” (Gc 4,13s) e Gesù: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?” (Lc 12,20). Oggi dobbiamo cominciare
Perché egli parla a dei battezzati. Scrive l’apostolo: “Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4).
Nella tradizione liturgica africana l’immersione battesimale era compiuta secondo la cosiddetta ‘forma verticale’ (in piedi), con ogni probabilità nella Milano di sant’Ambrogio, e in genere nell’antica area siciliana, essa era compiuta secondo la cosiddetta ‘forma orizzontale’ (distesi); quest’ultimo tipo di immersione permetteva di riprodurre esattamente e visivamente l’atto stesso della sepoltura: il battezzando veniva così sepolto con Cristo e, rialzandosi, ne imitava la resurrezione. Scrive Ambrogio: “Ieri abbiamo trattata del fonte, il cui aspetto corrisponde in un certo modo alla forma di un sepolcro, nel quale, dopo aver professato la nostra fede nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, siamo accolti e immersi ed emergiamo, cioè risuscitiamo” (I Sacramenti III,1,1). Per significare la risurrezione, il fonte o il battistero aveva forma ottagonale, a indicare che il Battesimo introduce l'uomo, dopo la giornata terrena (7), nella vita eterna (7+1). Noi tutti siamo morti e risorti il giorno del nostro Battesimo.
Quindi proprio a noi Paolo dice: “cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3,1s).
Come interpretare queste parole: in senso assoluto? Così rischieremmo di sentirci chiamati a un’esistenza un po’ disincarnata, quasi angelica, dimenticando che il Verbo di Dio si è fatto carne e ha scelto di condividere in tutto e per tutto la nostra esistenza, con le legittime e necessarie preoccupazioni della vita materiale.
Lo stesso san Paolo, insieme a Timoteo scrive ai Tessalonicesi, ricordando loro “il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno” (1Ts 2,9) e “chi non vuol lavorare, neppure mangi” (2Ts 3,10).
“I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. ... Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. … Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne” (Lettera a Diogneto V,1ss).
Da quale rischio ci vuole mettere in guardia Gesù?
Il Signore ci invita a ricordare che noi siamo sue creature, liberate da Lui e come tali dobbiamo cercare di vivere, pur condividendo la stessa esistenza dei nostri simili. Noi non siamo semplicemente degli animali un po’ più evoluti, siamo il vertice del creato, siamo delle persone fatte a immagine e somiglianza di Dio e, per natura, non possiamo accontentarci, come gli animali, del soddisfacimento dei bisogni materiali. Chi fa questo, si autocondanna all’infelicità.
Oggi siamo chiamati a non illuderci che, una volta soddisfatto il corpo – vestito, nutrito, coperto, sano – tutto è a posto. Noi sappiamo che tutto questo è indispensabile, ma non basta.
Nel Vangelo Gesù ci presenta un personaggio di questo genere: “un uomo … ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divèrtiti!” (Lc 12,16ss). Una volta che hai mangiato, bevuto e ti sei divertito, cosa ti rimane tra le mani?
Anche se non sempre ne siamo consapevoli, finché non alzeremo lo sguardo; finché non sceglieremo fermamente di vivere da cristiani, lasciando entrare Dio nella nostra storia, rischieremo di essere persone, nella migliore delle ipotesi, incomplete.
Siamo richiamati a dare il giusto peso alle cose, a rimettere in ordine i valori, a ridare allo spirito una centralità perduta. Quando farlo? Quando cominciare? Scrive l’apostolo Giacomo: «Oggi o domani andremo nella tal città e vi passeremo un anno e faremo affari e guadagni», mentre non sapete quale sarà domani la vostra vita! Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare” (Gc 4,13s) e Gesù: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?” (Lc 12,20). Oggi dobbiamo cominciare
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