Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 1 agosto 2010

"Non sei più schiavo, ma figlio"

SANTA MARIA DEGLI ANGELI

Perdono di Assisi

Non sei più schiavo, ma figlio …” (Gal 4,7); “Siamo stati liberati come un passero dal laccio dei cacciatori” (Sal 124,7). Cosa significa essere schiavi? Il Dizionario Zanichelli definisce lo schiavo come chi è totalmente privo della libertà individuale tanto da essere, non già soggetto, ma oggetto di diritti”; il che significa che non ha diritti, mentre altri hanno diritti su di lui. Se estendiamo il significato, capiamo bene che è schiavo chi non ha la libertà di scelta – non può scegliere se fare o non fare qualcosa né quando farla -, perché qualcun altro sceglie per lui.

Un po’ di tempo fa abbiamo letto sui giornali che a Rosarno vivevano degli uomini sottoposti sostanzialmente a un regime di schiavitù, perché erano costretti a lavorare molte ore al giorno, sottopagati e senza diritti. Proprio pochi anni fa a Viadana un uomo colpito da insolazione, dopo 14 ore di lavoro, fu abbandonato e lasciato morire sul ciglio della strada da colui che lo sfruttava.

La schiavitù però è solo questa? Noi siamo schiavi o liberi? Pietro nella sua seconda lettera scrive: “Uno è schiavo di ciò che l’ha vinto” (2Pt 2,19); questo significa che, ogni volta che una persona non è in grado di dominare o gestire qualcosa, ma è dominata o gestita, è schiava.

Quando qualcuno o qualcosa esterno o interno a noi, ci costringe a fare o a non fare, a dire o a non dire, a essere o a non essere, allora siamo schiavi di quel qualcosa o qualcuno, non siamo liberi.

Prima di giungere alla libertà, dobbiamo quindi dare un nome a ciò che ci tiene in schiavitù (il carattere, le paure, gli istinti, la politica, gli amici ecc …); la presa di coscienza di non essere liberi è infatti il primo indispensabile passo.

L’indulgenza della Porziuncola è un’occasione privilegiata per fare questo serio percorso di liberazione. Se viviamo questo giorno in profondità, non possiamo rimanere uguali, qualcosa deve avvenire in noi.

La prima liberazione è dalla schiavitù del peccato. In ebraico la parola che dice il peccato è amartia che ha come significato ciò che avviene quando si lancia una freccia e si manca il bersaglio. Il peccato è fallimento. Non bisogna quindi mai autogiustificarsi e banalizzare i propri peccati – provate a pensare a uno che cacci per sopravvivere e che manchi il bersaglio, siano dieci centimetri o un metro, poco cambia, lo stomaco gli rimarrà comunque vuoto -; ogni peccato è fallimento e per questo va combattuto: non esistono peccati buoni.

Per questo non possiamo accontentarci di una confessione devozionale – senza vero pentimento e senza serio impegno di conversione: “Prometto di non offenderti mai più e di fuggire le occasioni prossime di peccato” -.

La seconda liberazione è dall’ignoranza della fede. Dicono che chi non crede a Dio, crede a tutto, ma a volte, anche chi dice di credere in Dio, crede a tutto il suo contrario. Questo è molto rischioso, perché si finisce poi per andare dietro a delle falsità e a dei falsi profeti che, invece di portarci verso la libertà, ci tengono in schiavitù.

Dobbiamo quindi, non limitarci a recitare il ‘Credo’ a pappagallo, ma approfondire seriamente la nostra fede, in modo da riconoscere ciò che è vero da ciò che è falso.

L’ultima schiavitù dalla quale dobbiamo liberarci è quella della divisione. Diavolo significa proprio questo: colui che si mette di traverso; colui che divide. Nella storia il diavolo ha sempre cercato di creare divisione tra gli esseri umani, a tutti i livelli: familiari, nazionali e internazionali. Egli ha sempre cercato di dividere anche la Chiesa – i suoi membri tra di loro e con il loro capo visibile, il successore di Pietro -. Scriveva 1900 anni fa san Cipriano di Cartagine: “Il nemico inventò le eresie e gli scismi con cui sovvertire la fede, corrompere la verità, spezzare l’unità. … Cosicché si dicono cristiani e credono di possedere la luce, anche se camminano nelle tenebre e non restano fedeli al Vangelo” (San Cipriano, L’unità della Chiesa, Città Nuova 21s). Sempre Cipriano scrive: “Chi abbandona la cattedra di Pietro, sopra la quale è fondata la Chiesa, pensa davvero di appartenere a Cristo?” (Ibidem 24). Il Diavolo vuole separare il gregge dal pastore, così può sbranare le pecore con libertà.

Non possiamo accontentarci di dire oggi un Pater, Ave a Gloria per le intenzioni del Papa, se non siamo profondamente in comunione con lui; se non cerchiamo di conoscere ciò che lui veramente dice – e non quello che ci fanno credere che lui dica -; se non ci lasciamo condurre da lui.

Capite allora che se viviamo così l’indulgenza di oggi: se veramente cerchiamo di lasciarci alle spalle i nostri peccati, se andiamo in profondità nello straordinario tesoro della nostra fede, se rimaniamo uniti a Pietro e ci lasciamo condurre da lui, non possiamo che riacquistare la libertà che il Signore ci ha regalata.

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