ANDREA TORNIELLI
La marea sterminata di luci e di magliette colorate dei ragazzi che partecipano alla veglia all’aeroporto «Quatro Vientos» si riflette negli occhi spalancati di Julises Alina, un diciannovenne messicano che vive vicino al confine con gli Usa e che per pagarsi il viaggio a Madrid, per un anno mezzo, si è messo a fare l’imbianchino nelle case del vicinato sfruttando ogni istante libero.
È soltanto una delle storie dei protagonisti della Giornata mondiale della Gioventù, oltre un milione e mezzo di giovani (due milioni secondo la Tv pubblica di Madrid) che ieri sera hanno pregato con il Papa, hanno trascorso la notte all’addiaccio per essere presenti alla messa conclusiva di questa mattina, la manifestazione più partecipata della storia spagnola e del pontificato di Joseph Ratzinger.
Il mondo va a rotoli, l’Europa barcolla, lo spettro del collasso dell’economia aleggia nel Vecchio Continente, il futuro è incerto soprattutto per le giovani generazioni, ma nell’ultima settimana Madrid è stata pacificamente invasa da un pezzo di umanità che non sembra segnata dalla paura e dal pessimismo.
Le cronache hanno dato ampio spazio alla protesta, a tratti violenta, dei gruppi che contestano la visita papale ma che hanno finito per scaricare la loro rabbia sui ragazzi capitatigli a tiro. E in qualche caso si è avuta l’impressione che la notizia fossero i duemila indignados e non il milione di partecipanti alla GMG, quelli che hanno seguito la Via Crucis per le vie della capitale, quelli che hanno pregato con Benedetto XVI, quelli che hanno alternato canti e balli a momenti di raccoglimento e perfetto silenzio, quelli che non hanno mai dato alcun problema di ordine pubblico. Francisco Xavier Velasquez Lopez, responsabile della Guardia Nacional, giovedì scorso era nell’auto che precedeva la «papamobile» durante il primo grande appuntamento pubblico del Papa, la festa dell’accoglienza in piazza Cibeles. E ha confidato al direttore organizzativo della GMG seduto al suo fianco: «Non ho mai visto accogliere una persona con questo affetto. È molto più facile radunare la gente arrabbiata per una protesta. È più difficile convocare per una festa dove si ringrazia qualcuno…».
La riuscita di un evento come quello che si sta tenendo a Madrid non si misura dai numeri, ma è indubbio che anche questa volta Benedetto XVI ha vinto la sfida. Una sfida difficile. Sei anni fa, al momento in cui veniva eletto quale successore di Papa Wojtyla, cioè dell’inventore delle Giornate della Gioventù, in pochi credevano che l’anziano teologo tedesco avrebbe continuato nella scia del predecessore. Invece l’ha fatto, dando una sua impronta a questi raduni, capaci di coniugare, come si è visto venerdì sera con la Via Crucis, modernità e tradizione, il Web, le nuove tecnologie e i «pasos», le antiche sculture lignee in stile barocco che raffigurano la Passione.
I critici, non soltanto quelli laici, hanno sempre guardato a questi eventi come a manifestazioni esteriori, di massa. Prove di forza di un cattolicesimo capace ancora di riempire le piazze ma non più le chiese. Se invece ci si ferma a guardare senza pregiudizi questi ragazzi, si scopre che, nella massa, ciascuno di loro è venuto a Madrid a cercare qualcosa per sé. Si scopre il contributo positivo delle loro esperienze, del loro cammino di fede, del loro impegno. Un contributo che rappresenta una risorsa di vita buona, e che dovrebbe interessare tutti, non essere relegato nel «recinto» cattolico. I giovani della GMG non sono truppe cammellate contro la secolarizzazione, non partecipano a una crociata contro il mondo: nell’Europa della paura e dell’incertezza offrono una testimonianza di dedizione e di umanità.
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