XX DOMENICA T.O.
Non ce lo nascondiamo: l’episodio evangelico di oggi ci lascia un po’ perplessi. Gesù ha un comportamento troppo simile al nostro nei giorni peggiori. Nella migliore delle ipotesi Lo possiamo definire scortese – prima non risponde, poi equipara quella povera donna ai cani -; se fosse capitato a noi ci saremmo rimasti male.
Qualcuno si sentirà forse giustificato e dirà: “Se Gesù s’è comportato così, posso farlo anche io”, invece, quando incappiamo in fatti così palesemente in contrasto con ciò che Gesù ha sempre detto e fatto, dobbiamo subito sentire un campanello che ci invita ad andare più in profondità per vedere cosa c’è sotto.
Questo incontro ha qualcosa in comune con quello della Samaritana; anche qui c’è una donna che è socialmente esclusa. E’ una donna e sappiamo che nessun uomo osservante le convenzioni comuni, poteva fermarsi pubblicamente a parlare con essa – “chiunque conversi molto con le donne, causa del male a se stesso … e finisce per meritarsi la Geenna”
– ed è Cananea, quindi appartenente al popolo pagano che abitava la Palestina (Canaan) prima della venuta degli Ebrei e con i quali questi ultimi non potevano avere contatti. I Cananei infatti erano ritenuti i discendenti maledetti di Cam, figlio di Noè e padre di Canaan (Gen 9,25-27). Al pozzo di Giacobbe (Gv 4,1ss) però Gesù aveva interpellato per primo la Samaritana, qui invece sembra essere altezzosamente indifferente alla disperazione della Cananea. Partiamo dalla conclusione della vicenda; Gesù chiama la sua interlocutrice “donna” (gùnai) che è una sorta di titolo nobiliare, usato per le regine e le grandi dame (Antonio si rivolge così a Cleopatra) e le concede la guarigione della figlia.
Vediamo ora di ripercorrere la vicenda; Gesù non risponde alle grida della Canaea, tanto che i suoi discepoli devono implorarlo affinché la mandi via. E sì, per questo chiedono che la esaudisca, non certo per compassione nei suoi confronti. In un secondo momento sottolinea di essere stato inviato per salvare solo Israele. Infine dichiara apertamente alla donna che non è degna del “pane” di Dio, destinato solo ai suoi veri figli.
Gesù da una parte snocciola una serie di luoghi comuni ben radicati nella cultura del popolo d’Israele e a partire da questi cerca di educare i suoi discepoli, dall’altra non vuole limitarsi a essere considerato un guaritore esorcista, ma vuole che la donna faccia una chiara scelta di campo. Sappiamo che i discepoli avranno ancora bisogno di molto tempo per capire ciò che Gesù ha voluto insegnare loro – lo dimostra tutta la fatica fatta dalla comunità primitiva ad accettare l’evangelizzazione dei pagani -, invece la Canaea riesce a fare il salto e ad aderire a Cristo.
Gesù conferma con i fatti, anche se per una via per noi poco chiara, le parole del profeta Isaia: “Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi … li condurrò sul mio santo monte e li colmerò di gioia” (Is 56,6s); queste parole, tra l’altro, seguono a questa affermazione: “Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: “Certo, mi escluderà il Signore dal suo popolo!” (56,3). Nessuno è straniero per Dio. E’ vero che Israele è il popolo primogenito, l’eletto per l’eternità – “Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Impossibile! … Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio” (Rm 11,1s) -, ma non lo è in maniera esclusiva.
Gesù oggi insegna alla sua Chiesa, cioè a noi, a non escludere; la salvezza non è un tesoro da rinchiudere in un forziere, ma da condividere. Purtroppo questo non è sempre chiaro, forse perché per primi non abbiamo la consapevolezza di avere tra le mani un tesoro di inestimabile valore, di cui tutti gli esseri umani hanno bisogno. Siamo convinti che abbiamo bisogno di Cristo e del Vangelo, così come una pianta ha bisogno dell’acqua? La missionarietà della Chiesa trova la sua radice qui; non vogliamo imporre una dottrina a chi non la conosce, non vogliamo limitarci a costruire ciò che i governi non sono in grado o non vogliono costruire per servire i popoli, ma desideriamo condividere la bellezza. Per questo è assurdo per un cristiano nascondere Cristo per paura di offendere la libertà altrui.
Il Signore però mostra anche la necessità di una radicalità nella fede. Dio non è solamente un vago salvatore, che soddisfa i bisogni primari dell’umanità. Egli è una persona incarnata che chiede una adesione personale e convinta. Per questo fa a pugni con il cristianesimo una religione vaga e spiritualoide, dove il Cristo finisce per essere un concetto o un semplice ricordo dell’infanzia.
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