XXX DOMENICA T.O.
“Uno
di loro (dei farisei), un dottore
della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova” (Mt 22,35). E’ interessante che l’azione compiuta da
quest’uomo di Dio, è la stessa operata da Satana nei confronti di Gesù: “Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto
per essere tentato dal diavolo” (Mt 4,1); la traduzione è diversa, ma il
termine è lo stesso. In entrambi i casi chi parla al Signore, lo fa nell’illusione
di poterlo portare fuori strada.
Il nostro fariseo sta cercando di
coinvolgere Gesù in una fredda questione di scuola di teologia. A quel tempo
gli studiosi della Sacra Scrittura l’avevano vivisezionata e avevano
riconosciuto in essa ben 613 comandamenti – 248 positivi (“farai”) e 365
negativi (“non farai”) -; un’ulteriore suddivisione era poi tra precetti lievi
e gravi.
Ascoltiamo cosa scrive san Francesco: “Dice l’apostolo: “La lettera uccide, lo spirito invece dà vita”. Sono morti a causa
della lettera coloro che unicamente bramano sapere le sole parole, per essere
ritenuti più sapienti in mezzo agli altri …”[1]. Satana vuole che
la Parola di Dio sia per noi solo un fatto culturale, ma non che penetri nella
terra fertile della nostra esistenza per generare frutto, invece, come scrive
Madeleine Delbrel: “Il Vangelo … è fatto
per diventare il libro della nostra vita. Non è fatto per essere compreso … Non
è fatto per essere letto, ma per essere accolto dentro di noi. Ciascuna delle
sue parole … sono come il lievito iniziale che attaccherà la nostra pasta e la
farà fermentare in uno stile di vita nuovo”.[2]
Gesù sventa il piano del fariseo; gli
risponde, ma non sta al suo “gioco”.
“Qual
è il grande comandamento?” (Mt 22,36), gli domanda. In realtà nella sua
risposta Gesù fa riferimento a ciò che da secoli gli ebrei sapevano, infatti “amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il
cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” lo troviamo già nel
Deuteronomio (6,5) e, “ Non ti
vendicherai e non serberai rancore contri i figli del tuo popolo, ma amerai il
prossimo tuo come te stesso” in Levitico (19,18); la grande novità sta nel
fatto che questi due comandamenti, in realtà ne formano uno solo, così come una
stessa moneta ha due facce.
L’evangelista Giovanni nella sua prima
lettera, fa una sintesi chiarissima: “ Se
uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama
il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il
comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello” (1Gv
4,20s).
La seconda parte del comandamento, noi
cristiani l’abbiamo fatta nostra. Facciamo spesso tanta fatica a metterlo in
pratica, ma non c’è dubbio che la comunità cristiana in questi oltre duemila
anni ha saputo incarnare l’amore con una radicalità e costanza notevoli. Piuttosto,
sembra essere entrato molto – troppo – in crisi, invece, la prima parte del
comandamento: “Amerai il Signore tuo Dio
con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente”, tanto che
nel suo ultimissimo documento, papa Benedetto ha affermato che, “capita ormai non di rado che i cristiani si
diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche
del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio”[3]. Sembra quasi che
l’amore per Dio, il tempo dedicato a Lui e alle sue cose, sia tempo rubato
all’uomo e che, ciò che conta è fare, agire. Non riusciamo più a percepire che,
in realtà, più siamo in comunione con Dio e più diventiamo capaci di amare il
prossimo, anche quello che non corrisponde ai nostri schemi, anche quello meno
piacevole. Scrive una autore francese: “la
mia vita interiore è la sorgente delle mie relazioni esteriori” (P.
Ricoeur). Potremmo dire che l’amore per Dio e l’amore di Dio stanno all’amore
per il prossimo, come una sorgente sta a un pozzo. Se il pozzo non è raggiunto
dall’acqua che scaturisce dalla sorgente, è inutile, non dà nulla.
Al di là del significato biblico dei
termini “cuore, anima e mente” che, non corrisponde totalmente al significato
che gli attribuiamo oggi, Gesù ci invita a metterci in relazione con Dio con
tutto ciò che siamo, non con una parte di noi (la mente, piuttosto che le
emozioni). Dio desidera un coinvolgimento totale della nostra persona, deve
essere coinvolta l’intelligenza, le emozioni e anche il nostro corpo.
Da questo rapporto consegue
innanzitutto l’amore per se stessi, perché si impara a guadarsi con gli occhi
di Dio. Davanti a Lui diventiamo consapevoli di essere un impasto di grandezza
e miseria, di luce e di tenebra. Stare con Dio, ci fa riconciliare anche con
noi stessi. Chi è riconciliato con se stesso, chi si sente amato e custodito,
più facilmente dona ciò che ha ricevuto.
Insegnami a riconoscere Signore i segni
del tuo amore concreto e fedele; non permettermi di lasciarti relegato in
cielo, perché se tu non entri nella mia quotidianità, io divento come un
deserto, incapace di generare vita.
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