Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

lunedì 27 febbraio 2012

Scusate se insisto, ma purtroppo i mass media invece di informare, deformano la realtà. Non ci restano che questi piccoli angoli


Articolo di Sandro Magister 
Chiarimenti. Il governo di Mario Monti li ha assicurati. La conferenza episcopale italiana li ha invocati.
In effetti c’era qualche punto non chiaro nella normativa sull’ICI per gli enti non profit.
Ma l’emendamento introdotto dal governo nel decreto legge sulla concorrenza non brilla per chiarezza. E confuso è soprattutto il rilancio che ne hanno dato i media.
La notizia diffusa dai media, nella loro quasi totalità, è che la Chiesa cattolica dovrà finalmente pagare l’ICI per gli immobili in cui esercita attività commerciali.

Una notizia con un doppio errore. Primo, perché il provvedimento del governo non riguarda solo la Chiesa, ma l’intero mondo non profit: ebrei, valdesi, ARCI, Telethon, Emergency, eccetera. Nel comunicato emesso da Palazzo Chigi il 24 febbraio – come già nel precedente del 15 febbraio – la parola “Chiesa” non c’è mai, neppure una volta.
Secondo, perché sia la Chiesa sia gli altri enti non profit l’ICI la pagano già, per i loro immobili dati in affitto o in cui esercitano attività lucrative. A esempio, due grossi proprietari di case come l’APSA e Propaganda Fide sono già il secondo e il terzo maggior contribuente ICI del comune di Roma.
Anzi, in forza della normativa vigente, un istituto religioso che abbia in un suo immobile sia un esercizio alberghiero sia un un convento o una cappella, paga l’ICI per l’intero immobile. Su questo l’emendamento Monti fa chiarezza: l’ICI dovrà essere pagata solo per la parte dell’immobile adibita ad uso commerciale. Come già avviene, ad esempio, per il bar di un oratorio.
Il punto non chiaro del provvedimento è là dove esso sembra estendere l’obbligo a pagare l’ICI anche agli immobili destinati ad attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive, cioè a tutte quelle attività “esentate” dall’articolo 7 della legge 504 del 1992, entro i parametri di non profit stabiliti dalla circolare del 26 gennaio 2009 numero 2 del ministero delle finanze.
Molte di queste attività, infatti, si configurano di per sé come commerciali, in quanto prestano in forma organizzata dei servizi per i quali si richiede il pagamento di un corrispettivo.
Una scuola privata paritaria in cui si paghino delle rette, ad esempio, rientra in questa fattispecie. Attualmente è esente dall’ICI. Domani la dovrà versare?
Se fosse così, a sopportare questo costo aggiuntivo sarebbero non soltanto le scuole cattoliche, meno della metà del totale delle scuole private paritarie, ma anche le ebraiche, le valdesi e le molte estranee a confessioni religiose.
Sia il ministro per lo sviluppo economico Corrado Passera, sia il sottosegretario all’economia Gianfranco Polillo hanno assicurato che nell’applicare il provvedimento il governo farà “molta attenzione” al non profit e a “chi vuole rendere un servizio alla collettività”.
Tale servizio corrisponde, per quanto riguarda le scuole private, a un risparmio annuo per lo stato di più di 6 miliardi di euro.
Ma sarebbe paradossale se un provvedimento preso dal governo anche per sventare una sanzione dell’Europa per violazione delle regole di concorrenza si ritorcesse nel suo contrario, obbligando le scuole private paritarie a pagare un’imposta da cui sono esenti le scuole statali e comunali, pur dovendo tutte offrire gli stessi standard di istruzione.

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