Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 22 luglio 2012

Erano come pecore senza pastore

XVI DOMENICA T.O.

     Oggi c’è un’espressione che ricorre più volte e attrae la nostra attenzione: il pastore.
-               Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore senza pastore (Mc 6,34).
-               Perciò dice il Signore, Dio d’Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere” (Ger 23,2).
     Una prima domanda che dobbiamo porci è: chi è il pastore di cui la Scrittura ci parla? Eppoi, queste parole riguardano anche noi personalmente?

     E’ chiara l’immagine di riferimento; i pastori erano coloro che dovevano sorvegliare con cura premurosa e onestà gli animali. Non era facile in estati prive di pioggia, in regioni desertiche e in un terreno ingrato, trovare al momento giusto nuovi pascoli. Il pastore era colui che doveva pensare instancabilmente agli animali, in particolare a quelli più deboli. Anche la notte era necessario vegliare per evitare che gli animali fossero facile preda di bestie selvatiche o ladri.
     Evidentemente Gesù non  sta dicendo che manca questo genere di pastori, bensì che ha la netta percezione che la sua gente è senza guide.
     In realtà le guide non mancavano affatto né quelle civili né quelle religiose. Il popolo d’Israele aveva un Re, un Imperatore, un Sinedrio, una serie di sommi sacerdoti, leviti e scribi. Il problema quindi non sta nella quantità, ma nel come essi esercitavano il loro ministero. Probabilmente  la maggior parte di costoro aveva perso di vista il fine del proprio ruolo: il bene del popolo. Il pastore infatti non è un capo che si serve del popolo per il proprio tornaconto, bensì uno che deve servire il popolo, conducendolo là dove può trovare il “cibo” adeguato e che lo difende dagli attacchi del nemico.
     Un pastore che lasci tranquillamente mangiare e bere alla sua gente tutto ciò che desidera o che trova sulla sua strada, non è un buon pastore; se non conosce bene i nemici del suo popolo e, come una sentinella non dà l’allarme quando essi si avvicinano, non è un buon pastore; se non sa riconoscere i segni della stanchezza e, quindi rallentare il passo, per evitare di lasciare qualcuno indietro, non è un buon pastore.
     La gente corre dietro a Gesù e ai suoi discepoli che, detto tra noi, non erano certo un granché in quel momento, perché evidentemente era in cerca di qualcuno che sapesse dire una parola nuova, che sapesse soccorrere e orientare.
     Queste parole di Gesù devono riuscire a penetrare nel profondo di tutti noi che abbiamo la responsabilità nei confronti di qualcuno. Dobbiamo lasciarci chiedere da Gesù: stai facendo davvero il possibile per condurre chi ti è affidato? Se ogni politico, sacerdote, genitore, industriale, medico, insegnate … si ponesse questa domanda, quanto potrebbero migliorare le cose.
     Da una parte ci sono i cattivi pastori che si disinteressano sino in fondo del bene delle persone loro affidate, ma dall’altra ci sono coloro che se ne fanno carico nel modo sbagliato:
     “Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare” (Mc 6,30). Scrive il cardinal Biffi nell’introduzione a un suo piccolo libro: “Se mi occupo della mia anima, mi sembra di tradire il mondo e la sua pena; d'altronde se l’attenzione alla pena del mondo mi distoglie da una vera e diretta vita interiore, compio innegabilmente un suicidio. E non c’è niente di più inutile di un suicidio: lasciare che mi si estingua l’anima, non allevia i guai dell’umanità e non dà salvezza a nessuno”.[1]
     In questo momento sto pensando in modo particolare ai pastori/sacerdoti che sentono di doversi fare carico di tutte le necessità della propria gente – anche quelle che non gli competono –, che corrono di qua e di là, ma che finiscono per non avere più tempo per curare la propria relazione con Dio – sorgente di ogni vero servizio all’uomo –. Pretendiamo dai nostri pastori che prima di tutto stiano in disparte con Gesù. Abbiamo bisogno non di assistenti sociali, ma di uomini rigenerati dalla grazia che, proprio per questo hanno qualcosa da dire e da dare anche a noi.



[1] G. Biffi, Sullo Spirito di Dio,  E. O.R. Milano 8

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