Affermo che il Papa è l’erede della gerarchia ecumenica del IV secolo, erede, potrei dire, per difetto, cioè per mancanza d’altri. Nessuno all’infuori di lui reclama o esercita i suoi diritti e i suoi doveri. È forse possibile considerare i patriarchi di Mosca o di Costantinopoli eredi dei diritti storici di sant’Ambrogio o di san Martino? Forse che un qualche Vescovo anglicano, negli ultimo trecento anni, ha richiamato alle nostre menti l’immagine di san Basilio? E allora, tutto quel potere ecclesiastico, che fa tanta mostra di sé nell’Impero cristiano, è svanito e, se così non è, dove dobbiamo trovarlo? Vorrei tanto che i protestanti si mettessero dal nostro punto di vista su questo tema: non intendo affatto intavolare con loro una disputa, desidero solo che essi capiscano come ci poniamo e come guardiamo le cose. Tra noi e loro corre questa grande differenza nella fede: essi non accettano che Cristo abbia fondato una società visibile o, meglio ancora, un regno per la propagazione e la conservazione della sua religione come casa e rifugio necessari per il suo popolo. Al contrario, noi vi crediamo. Noi sappiamo che il regno è ancora sulla terra, ma dov’è? Se tutto quello che ne resta è quanto può vedersi a Costantinopoli o a Canterbury, allora dico che è scomparso; e cioè, o vi è stata fin dal principio una corruzione radicale del cristianesimo, oppure esso è giunto alla fine via via che svaniva dal mondo il tipo della Chiesa di Nicea. Perché tutto quello che noi conosciamo del cristianesimo dalla storia antica, come fatto concreto, è la Chiesa di Atanasio e dei suoi colleghi nell’episcopato. Sotto il profilo storico, esso non è altro che quell’insieme di fenomeni; quella combinazione di diritti, prerogative e atti corrispondenti, alcuni dei quali li ho appena menzionati. Non c’è altra via d’uscita: di una istituzione, quale è appunto la Chiesa, che ha esistenza unitaria, non possiamo prendere solo quello che ci piace e nient’altro. Dobbiamo rinunziare a credere nella Chiesa come istituzione divina, oppure riconoscerla, oggi, in quella comunione di cui il Papa è il capo. Soltanto con lui e attorno a lui si trovano i diritti, le prerogative, i doveri che noi identifichiamo col regno fondato da Cristo. Dobbiamo prendere le cose come stanno: credere nella Chiesa significa credere nel Papa. E così questo credere nel Papa e nei suoi attributi, che sembra mostruoso ai protestanti, è essenzialmente legato al nostro essere cattolici, come il nostro cattolicesimo è legato al nostro cristianesimo. Non vi è quindi nessuna arbitraria opposizione ai poteri esistenti, né novità risonanti in orecchie spaventate in quella che viene spesso ingiustamente chiamata dottrina ultramontana. Non c’è affatto, da parte nostra, un servilismo deleterio verso il Papa per il semplice motivo che ne riconosciamo i diritti. Dico che è inevitabile: il parlamento può trattarci quanto duramente vuole; ma noi non crederemmo affatto alla Chiesa, se non credessimo al suo capo visibile. Così stanno le cose: il corso dei secoli ha realizzato la profezia e la promessa: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa… e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,18-19). Il Papa rivendica oggi quello che in sostanza era già in possesso della gerarchia nicena. Non intendo seminare difficoltà lungo il mio cammino, ma non posso nascondere o attenuare quello che io credo essere la pura verità, anche se il confessarla urta i protestanti e, temo, anche alcuni cattolici.
“Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”. Gilbert K. Chesterton
venerdì 20 luglio 2012
John H. Newman, Lettera al Duca di Norfolk,
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