XV DOMENICA T.O.
Amasia contro Amos. Chi sono costoro? Uno
è sacerdote a Betel, l’altro è un pecoraio e contadino, chiamato da Dio a
essere Suo profeta.
Amasia se la prende con il profeta, perché
ha avuto il coraggio di dire parole scomode contro il popolo infedele – “hanno venduto il giusto per denaro e il
povero per un paio di sandali ,essi che calpestano come la polvere della terra
la testa dei poveri e fanno deviare il cammino dei miseri, e padre e figlio
vanno dalla stessa ragazza, profanando così il mio santo nome” (Am 2,6s) -,
contro il culto ufficiale – «Io detesto,
respingo le vostre feste solenni e non gradisco le vostre riunioni sacre; anche
se voi mi offrite olocausti, io non gradisco le vostre offerte, e le vittime
grasse come pacificazione io non le guardo. Lontano da me il frastuono dei
vostri canti: il suono delle vostre arpe non posso sentirlo!” (5,21ss) -,
contro le donne di Samaria – “Ascoltate
questa parola, o vacche di Basan, che siete sul monte di Samaria, che opprimete
i deboli, schiacciate i poveri e dite ai vostri mariti: «Porta qua, beviamo!» (4,1) -.
Amasia pur essendo un sacerdote, purtroppo
è anche un uomo di corte, abituato, per convenienza a servire il proprio
padrone, piuttosto che la verità. Andare contro al suo signore, significherebbe
perdere il suo appoggio con i conseguenti vantaggi. Per questo vuole togliersi
dai piedi Amos, perché gli sembra assurdo che qualcuno possa dire parole
scomode proprio nel santuario ufficiale del regno. Amasia legge la realtà a partire
da sé - come quelli che accusano gli altri di particolari comportamenti, solo
perché loro stessi ne sono capaci -, per questo accusa Amos di essere in cerca
di denaro, di farsi mantenere grazie al ministero profetico. Ecco allora che
gli dice: «Vattene, veggente, ritirati
nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a
Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio
del regno» (Am 7,12s).
Amos però sa di non poter tacer, perché
non è venuto da sé – fosse dipeso da lui, sarebbe rimasto “comodamente” a fare
il pastore -; egli non cerca privilegi, non cerca soldi, Dio l’ha inviato e
solo a Lui deve rispondere. Del resto “nessuno
può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si
affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro” (Mt 6,24).
Noi battezzati siamo tutti chiamati a
essere profeti, ossia portatori di una parola che non ci appartiene; una parola
ricevuta, alla quale nulla può essere aggiunto e nulla tolto. Siamo servi e non
padroni della Parola.
C’è ancora bisogno di profeti? Eccome!
Chiaramente al modo di Amos, cioè liberi, non a servizio di qualche “idolo
muto”. Il profeta infatti è come una sentinella posta in alto, sulle mura; essa
ha il compito di vegliare giorno e notte, per riconoscere i segni del nemico
che avanza per distruggere. Guai se la sentinella si addormenta o non sa
decifrare i segni.
Gesù ha compassione di noi, di un popolo
disorientato, che facilmente si lascia condurre da “idoli d’argento e oro, ... Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non
vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Le loro mani non
palpano, i loro piedi non camminano;
dalla loro gola non escono suoni!” (Salmo 113b – 115). Ecco allora il significato dell’invio degli apostoli, i quali devono andare, leggeri, senza troppo condizionamenti, così da evitare di attardarsi a occuparsi dei “mezzi”, perdendo di vista il fine. Bisogna avere i sandali, perché altrimenti il calore e le asperità del terreno rallenterebbero il passo, ma non due tuniche, perché altrimenti ci vorrebbe anche una sacca per contenerla ed essa comincerebbe a pesare. Gesù non disprezza le cose, ma se esse diventano un ostacolo a ciò che conta, allora vi si deve rinunciare. La cosa fondamentale è raggiungere l’essere umano che ha bisogno di vita e di verità, tutto il resto è un mezzo.
dalla loro gola non escono suoni!” (Salmo 113b – 115). Ecco allora il significato dell’invio degli apostoli, i quali devono andare, leggeri, senza troppo condizionamenti, così da evitare di attardarsi a occuparsi dei “mezzi”, perdendo di vista il fine. Bisogna avere i sandali, perché altrimenti il calore e le asperità del terreno rallenterebbero il passo, ma non due tuniche, perché altrimenti ci vorrebbe anche una sacca per contenerla ed essa comincerebbe a pesare. Gesù non disprezza le cose, ma se esse diventano un ostacolo a ciò che conta, allora vi si deve rinunciare. La cosa fondamentale è raggiungere l’essere umano che ha bisogno di vita e di verità, tutto il resto è un mezzo.
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