XX
DOMENICA T.O.
Nel mese di giugno sono stato una
settimana ad accompagnare un gruppo nel Nord Europa; abbiamo visitato alcune
città di nazioni a maggioranza protestante. Dall’esterno era difficile dire se
una chiesa fosse cattolica o protestante – infatti tutte erano state costruite
originariamente per essere cattoliche -, ma una volta entrati non potevano più
esserci dubbi. Nelle nostre chiese c’è un elemento fondamentale: il
tabernacolo.[1]
Esso può trovarsi nell’altare maggiore o in una cappella laterale apposita, ma
non può mancare.
Quando entriamo in chiesa noi compiamo due gesti tanto semplici quanto
significativi: ci segniamo con l’acqua benedetta – in memoria del nostro
Battesimo – e ci genuflettiamo davanti al tabernacolo, segno che riconosciamo
che siamo alla presenza reale di Dio- non ci si inginocchia davanti a niente e
nessun altro -.
La consapevolezza di questa presenza preziosa e unica ha fatto si che storicamente,
gli altari del Santissimo Sacramento fossero i più belli; arricchiti di marmi,
candele, fiori e tovaglie particolari e sempre segnalati da una fiammella
accesa, che brilla anche di notte.
Che dire poi di quell’altra manifestazione di fede Eucaristica che è
l’adorazione? Stiamo in silenzio davanti all’ostensorio a contemplare Dio.
Colui che ha scelto di rendersi presente tra noi attraverso il corpo di una
giovane donna, ora ha liberamente scelto di “restare con noi” nelle specie del
pane e del vino.
E’ importantissimo reimparare la consapevolezza di questa presenza;
dobbiamo ricominciare a porre correttamente i gesti, affinché siano
significativi. Non siamo diversi da Mosè al quale Dio dal roveto ardente disse:
“Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali
dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo! (Es 3,5) o ancora, alle falde del monte Sinai:
”Fisserai per il popolo un limite tutto
attorno, dicendo: “Guardatevi dal salire sul monte e dal toccarne le falde” (Es
19,12). E’ vero che non dobbiamo curare solo la forma, perché ciò che conta è
la sostanza, eppure non possiamo non chiederci se, quando manca la forma, non manchi anche la sostanza.
Eppure anche se imparassimo a compiere tutti i gesti con la massima
cura, se venerassimo adeguatamente il Santissimo, non realizzeremmo ancora ciò
che oggi ci chiede Gesù: “Io sono il pane
vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane
che io darò è la mia carne per la vita del mondo. … In verità, in
verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete
il suo sangue, non avete in voi la vita” (Gv 6,51; 53).
L’adorazione ha a che fare con
qualcosa che è fuori di noi, mentre il mangiare porta dentro di noi. Gesù usa
dei verbi molto precisi – “Chi
mangia»: in gr. trogo= pascersi; è da rilevare come qui (e nei vv. 56.57.58)
Giovanni sostituisca il verbo mangiare (phagēte) del versetto precedente con un termine molto più crudo che
indica l’azione del masticare con i denti (trṓgō). In senso metaforico, "mangiare la carne " in
ebr. significa far del male a un nemico (cfr. Sal 27 (26),2). Il verbo è di
solito usato per indicare più il mangiare degli animali (cf trogolo dei maiali)
che dell'uomo; probabilmente l'evangelista impiega questo verbo per dare un
realismo maggiore alla frase non ottenibile con l'altro verbo -.
La vita cristiana non è semplicemente
contemplazione, ma comunione radicale con Dio. Dio vuole essere mangiato da
noi, affinché noi diventiamo un tutt’uno con Lui. Attenzione non sto dicendo
che dobbiamo scegliere tra la contemplazione e la comunione con Dio, ma l’una e
l’altra. Esse sono sorelle gemelle, non può esserci l’una senza l’altra. Chiudo
con alcune parole molto forti - a me
personalmente fanno male - di un profeta del nostro tempo, il vescovo Tonino
Bello (1935-1993): “Le nostre messe dovrebbero
metterci in crisi ogni volta. Per cui per evitare le crisi bisognerebbe ridurle
il più possibile. Non fosse altro che per questo. Dovrebbero smascherare le
nostre ipocrisie e le ipocrisie del mondo. Dovrebbero far posto all’audacia
evangelica. … Se dall’eucaristia non parte una forza prorompente che cambia il
mondo, che dà la voglia dell’inedito, allora sono eucaristie che non dicono
niente. Se dall’eucaristia non si scatena una forza prorompente che cambia il
mondo, capace di dare a noi credenti – a noi presbiteri che celebriamo –
l’audacia dello Spirito santo, la voglia di scoprire l’inedito che c’è ancora
nella nostra realtà umana, è inutile celebrare l’eucaristia. … La Messa ci dovrebbe
scaraventare fuori. Anziché dire la messa è finita, andate in pace,
dovremmo poter dire la pace è finita, andate a messa. Chè se vai a Messa
finisce la tua pace”.[2]
[1]
Il termine
"tabernaculum" era già usato nel Medio Evo per indicare il
ricettacolo per il Santissimo Sacramento. Guglielmo Durando rileva nel suo
libro "Rationale divinorum officiorum" del 1282 - e che ebbe un
grande influsso nel suo tempo - che, a imitazione dell'Arca dell'Alleanza e
della Tenda del convegno (Esodo 25 -26, 33, 7 -11 e altrove), "in alcune
chiese è posta un'arca o tabernacolo (archa seu tabernaculum), in cui si
custodisce il Corpo del Signore con reliquie". L'associazione biblica è
significativa, poiché la Tenda del convegno rappresentava la presenza di Dio
fra il popolo d'Israele nel deserto. Inoltre, il prologo del Vangelo di
Giovanni afferma che il Verbo divino " si fece carne e venne ad abitare
(letteralmente: "piantò la sua tenda") in mezzo a noi" (Gv. 1,
14). Infine, nell'Apocalisse viene evocata la Gerusalemme celeste con le
parole: "Ecco la tenda di Dio con gli uomini!", che nella Vulgata
latina recita: "Ecce tabernaculum Dei cum hominibus!" (Ap. 21).
[2] Tonino Bello, Lo scandalo dell’Eucarestia
C è chi non assimila il cibo. Gesù vuole che ci assimiliamo a lui, vero corpo e vera bevanda, vero uomo e vero Dio. Prego il Signore di poter assimilarmi a Lui!
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