II DOMENICA DI AVVENTO
“Coraggio,
popolo mio …! Siete stati venduti alle nazioni non per essere annientati. …
Avete dimenticato chi vi ha allevati, il Dio eterno, avete afflitto anche colei
che vi ha nutriti, Gerusalemme. Essa ha … esclamato: «Ascoltate … Dio mi ha mandato un grande dolore. Ho visto,
infatti, la schiavitù in cui l’Eterno ha condotto i miei figli e le mie figlie”
(Bar 4,9ss). Con poche parole il profeta Baruc descrive la situazione del
popolo d’Israele, in esilio a causa della propria infedeltà a Dio; non Dio ha
punito il suo popolo, ma il popolo ha subito le conseguenze delle proprie
scelte – “il mio popolo non ha ascoltato
la mia voce, Israele non mi ha obbedito: l’ho abbandonato alla durezza del suo
cuore. Seguano pure i loro progetti!” (Sl 81,13s) -. Eppure in quella
condizione di fatica, di dolore, si sente una parola bella: “Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e
dell’afflizione … Si sono allontanati
da te a piedi, incalzati dai nemici; ora Dio te li riconduce in trionfo, come
sopra un trono regale” (Bar 5,1;6). E’ l’annuncio del ritorno a casa, della
fine dell’esilio.
Forse ci sembra poco interessante questa
notizia – tanto riguarderebbe il passato di un popolo al quale non apparteniamo
-; invece questa parola è per tutti coloro che sono consapevoli di essere in
cammino verso la patria; coloro per i quali, come scriveva san Giustino “ogni patria straniera è patria loro, e ogni
patria è straniera” (Lettera a Diogneto).
Noi cristiani possiamo sentirci a casa ovunque, amiamo questa terra nella
quale viviamo, ma nessuna patria terrena la sentiamo definitiva, perché solo
quando vedremo il Signore “a faccia a
faccia”, potremo dire: eccoci all’approdo sospirato. Anche noi siamo in
qualche modo in esilio.
Il profeta Baruc annuncia che “Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna
e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele
proceda sicuro” (Bar 5,7) e a sua
volta Giovanni Battista grida: “Preparate
la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!” (Lc
3,4).
Dio è Signore della storia e per quanto l’uomo
possa tentare di ostacolare la Sua azione o addirittura di rovinarla, Egli
prima o poi la riprende tra le sue mani. Quante volte abbiamo assistito al
tentativo degli uomini di cacciare Dio fuori dalla sua creazione e la tenebra
ha cercato di invadere tutto? L’essere umano ha sofferto indicibilmente, ma poi
la luce si è sempre riaccesa, il Sole ha ripreso il suo splendore e la vita ha
ricominciato a scorrere nelle pieghe della storia.
L’evangelista Luca scrive: “Nell’anno quindicesimo dell’impero di
Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode
tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della
Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene” (Lc 3,1); è un elenco di
uomini potenti, tanto da essere divinizzati (cfr. il caso dell’Imperatore
Romano), eppure è bastata una luce accesa da un debole Dio bambino, per far
impallidire tutta la loro opera.
Come vorrei gridare alla tenebra e ai suoi
fedeli: “Cessate di perdere tempo! Smettetela di sprecare le vostre frecce
avvelenate per un’opera destinata al fallimento. Nessuna debba più soffrire a
causa vostra”.
Dio può spianare le montagne e le rupi perenni, eppure deve fermarsi davanti alle
nostre porte chiuse. Egli che potrebbe sfondarle con un soffio, vuole invece
che le apriamo noi stessi, per scelta libera. Dio non vuole costringere nessuno
ad amarlo e ad accoglierlo; perché chi ama per costrizione e paura, in realtà
non ama.
Per questo giunge sino a noi il grido
potente di Giovanni che ci invita al battesimo di conversione; non è che un
appello a togliere tutto ciò che impedisce al Signore di entrare nella nostra
storia. Scrive Matta el Meskin in un suo splendido testo: “è disperatamente impossibile coniugare le tenebre e la luce, l’amore
per sé e l’amore per Dio, l’autocelebrazione e l’esaltazione di Dio, la
menzogna e la preghiera, l’impurità e la devozione, l’avidità e l’ambizione e
il timor di Dio, il mondo e Dio, il continuo condannare gli altri e l’amarli”
(La gioia della preghiera, Qiqajon
49). Se vogliamo che in una stanza esca il buio, bisogna che si apra la
finestra ed entri la luce; nello stesso modo, affinché il freddo se ne vada,
deve entrare il calore; non è possibile una coesistenza.
Dio vuole riportarci a casa, ma noi dobbiamo
lasciarci prendere per mano, altrimenti continueremo a vivere in esilio, magari
nella convinzione di essere già giunti alla meta; purtroppo non è che un’illusione.
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