XXIV DOMENICA T.O.
“Tu
sei il più bello tra i figli dell’uomo” (Salmo 44,3), afferma il salmista e
lo diciamo anche noi, ascoltando e gustando le bellissime parole che il Signore
ci offre.
“Si avvicinavano
a lui tutti i pubblicani e i peccatori”
(Lc 15,1); questo è un fatto che
potremmo definire sconvolgente, perché queste persone – che erano socialmente intoccabili
a causa del loro pubblico peccato -, non hanno paura di toccare e di lasciarsi
toccare da Gesù; sentono che Lui è accogliente, prima ancora che giudice. Egli
mangia con loro, perché non ha paura di diventare impuro, ma sa che dal
contatto con Lui, possono rinascere.
Mi
pare di riconoscere in papa Francesco lo stesso stile. Tanti lo amano, lo
cercano e lo ascoltano perché si sento amati e cercati da lui. Certo, l’atteggiamento
di Gesù e del Suo Vicario in terra, prestano il fianco alla mormorazione
scandalizzata di chi pensa che queste cose non si fanno, perché, nella migliore
delle ipotesi, non sono opportune. Papa Francesco però conosce bene le parole
di san Giovanni, il quale scrive: “Chi
dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato”
(1Gv 2,6).
Cosa fa Dio laddove c’è una persona che
per qualche ragione s’è allontanata?
La va a cercare: “Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo
cuore” (Os 2,6). Dio continua a
parlare al cuore dell’uomo attraverso la coscienza: “il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con
Dio, la cui voce risuona nell'intimità …
Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male,
al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita
quest'altro … obbedire è la dignità stessa dell'uomo” (GS 16). Dio parla, a
volte direttamente, facendo risuonare chiara una voce interiore, ma più spesso
manda i suoi angeli, i suoi messaggeri: un amico, un familiare, il parroco, un
bimbo … insomma, qualcuno che, con la sua parola o il suo esempio, può risvegliarci
dal torpore e farci riconoscere la lontananza da Dio e, quindi, da noi stessi.
Del figlio prodigo, si dice a un certo
punto che, viveva “in modo dissoluto”
(Lc 15,13), il che non ha solamente un valore morale, infatti il termine greco
è asòtos cioè, senza salvezza. Quell’uomo allontanatosi da suo padre per cercare se
stesso e il proprio bene, ha trovato solo la disperazione.
Perché Dio cerca l’uomo? “Si dimentica forse una donna del suo
bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se
costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49,15s).
Chi ama, cerca.
Dio ci cerca, perché sa che il peccato non
è libertà, ma fallimento. Può un
padre desiderare il fallimento del proprio figlio? Al massimo lo subirà, ma
certamente non può né desiderarlo né contribuirvi.
Dio ha scelto di incarnarsi e di prendere
un nome nuovo: Gesù, Dio salva. Dio
ci cerca per salvarci, per guarirci.
Quando ci lasciamo trovare ci riveste dell’abito
più bello, ci rimette l’anello al dito e i sandali ai piedi.
Cosa significa tutto ciò? Il Signore “non ci tratta secondo i nostri peccati e non
ci ripaga secondo le nostre colpe. Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così
la sua misericordia è potente su quelli che lo temono; quanto dista l’oriente dall’occidente, così
egli allontana da noi le nostre colpe. Come è tenero un padre verso i figli, così
il Signore è tenero verso quelli che lo temono, perché egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda
che noi siamo polvere” (Salmo 103, 9ss). Egli non continua a contestarci il
nostro passato, ma ci rifà nuovi. L’abito più bello, in realtà è “l’abito primo”, quello che ci è stato donato col battesimo;
l’anello è il sigillo che serve per stipulare i contratti e i sandali sono il
segno distintivo dell’uomo libero, perché solo gli schiavi andavano scalzi.
A chi si lascia trovare o trova il
coraggio di tornare, anche se le motivazioni non sono pienamente limpide, Dio
non presenta rimproveri e giudizi, ma la vita.
Lasciamo risuonare il grido di san Paolo: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi
riconciliare con Dio” (2Cor 5,20).
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