EPIFANIA
Chi erano i Magi? Non si sa con esattezza
se fossero Re, come li definiamo noi normalmente, astronomi o che; poco
importa. Certamente erano stranieri, gente non appartenente al popolo
d’Israele. Essi non avrebbero potuto, nel Tempio a Gerusalemme, superare il primo sbarramento – oltre il
Cortile dei Gentili -, pena la morte: “Un
tempo voi eravate non-popolo,
ora invece siete popolo di Dio; un tempo eravate esclusi dalla misericordia” (1Pt 2,10), “ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo
eravate lontani, siete diventati vicini” (Ef 2,13).
Dio stesso attira a sé; Lui che ha
abbattuto tutti i muri di separazione, chiama e accoglie chi era tenuto
lontano. In un attimo, il Dio-Bambino ha demolito l’immagine di un Dio separato
e inavvicinabile.
I primi ai
quali si è manifestato, sono stati i pastori. Pensate che riscuotevano una
pessima reputazione presso i Farisei e gli Scribi: in primo luogo la loro
stessa vita nomade nella steppa, dove scarseggiava d’acqua li rendeva lerci, impossibilitati
a rispettare tutte le fondamentali leggi sulla lavanda delle mani, sulla purità
delle stoviglie, sulla scelta dei cibi. Essi più di chiunque altro costituivano
quel "popolo della terra” che era degno per i Farisei del più
cordiale disprezzo; inoltre passavano per ladri tutti quanti, e si consigliava
di non comperare da loro né lana né latte che potevano essere cose refurtive. Erano
considerati esseri «abbietti e maneschi», e venivano esclusi dai tribunali: la
loro testimonianza, si legge nella tradizione talmudica, non era infatti
accettata in giudizio, al pari di quella dei ladri e degli estorsori.
Dopo i
pastori, tocca ai pagani.
Non ci
sono figli esclusi dall’amore di Dio. Ecco la buona notizia gridata oggi dal
Bambino Gesù.
Quanta
fatica hanno fatto anche gli Apostoli, ad accettare questo; quanta fatica
continuiamo a fare noi; inutile nascondercelo. Quante persone pensiamo, debbano
essere tenute a distanza da Dio.
Isaia nel
suo bellissimo testo, descrive lo splendore futuro di Gerusalemme, il brillante
avvenire di Gerusalemme. Oggi quelle stesse parole sono rivolte alla Chiesa. E’
lei che è chiamata a essere quella luce, che attrae i popoli. Essa è la casa di
coloro che erano lontani e in Cristo sono diventati vicini.
Certo, la Chiesa non è un albergo, dove
ognuno vive la fede a modo proprio, senza lasciarsi sconvolgere la vita da Dio,
ma è la famiglia di tutti coloro che, vogliono seguire il Signore, pur con i
limiti e i peccati dai quali fatica a lasciarsi liberare.
Ascoltiamo
un altro bellissimo testo di Isaia: “Non
dica lo straniero che ha aderito al Signore:
«Certo, mi escluderà il Signore dal suo popolo!». Non dica l’eunuco: «Ecco, io sono un albero secco!». Poiché così dice il Signore: «Agli eunuchi che osservano i miei sabati, preferiscono quello che a me … darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato. Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, ... I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56,3ss).
«Certo, mi escluderà il Signore dal suo popolo!». Non dica l’eunuco: «Ecco, io sono un albero secco!». Poiché così dice il Signore: «Agli eunuchi che osservano i miei sabati, preferiscono quello che a me … darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato. Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, ... I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56,3ss).
Dalla
grotta di Betlemme lasciamoci chiamare da Dio. Egli ci dice: “Tu che ti senti
lontano o che, per qualche ragione sei tenuto lontano da me, non temere, vieni!
Ti attendo. Mai ti sentirai dire da me, che sei indegno di me. Vieni pure a
mani vuote, basta che porti te stesso. Ci penserò io, poi a riempirle. Ho
nostalgia di te.
Quando verrai, non ti lascerò tranquillo, perché
desidero liberarti e renderti felice; ma vieni, non temere!”.
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