Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 29 giugno 2014

Non siamo isolati e non siamo cristiani a titolo individuale,



SS. PIETRO E PAOLO

     Non siamo isolati e non siamo cristiani a titolo individuale, ognuno per conto proprio, no, la nostra identità cristiana è appartenenza! Siamo cristiani perché apparteniamo alla Chiesa. È come un cognome: se il nome è “sono cristiano”, il cognome è “appartengo alla Chiesa” (Papa Francesco, Catechesi di mercoledì 25 giugno); le parole del Papa ricalcano quelle di San Cipriano di Cartagine, il quale ha scritto nel III secolo: “Non può avere Dio per Padre, chi non ha la Chiesa come Madre”.

     Il Papa prosegue ancora: “Il pensiero va in primo luogo, con gratitudine, a coloro che ci hanno preceduto e che ci hanno accolto nella Chiesa. Nessuno diventa cristiano da sé! E’ chiaro questo? Nessuno diventa cristiano da sé. Non si fanno cristiani in laboratorio. Il cristiano è parte di un popolo che viene da lontano. Il cristiano appartiene a un popolo che si chiama Chiesa e questa Chiesa lo fa cristiano, nel giorno del Battesimo, e poi nel percorso della catechesi, e così via. Ma nessuno, nessuno diventa cristiano da sé. Se noi crediamo, se sappiamo pregare, se conosciamo il Signore e possiamo ascoltare la sua Parola, se lo sentiamo vicino e lo riconosciamo nei fratelli, è perché altri, prima di noi, hanno vissuto la fede e poi ce l’hanno trasmessa. La fede l’abbiamo ricevuta dai nostri padri, dai nostri antenati, e loro ce l’hanno insegnata” (idem).
     Il Papa ci aiuta a entrare nella festa degli apostoli Pietro e Paolo. Noi siamo qui a celebrare e lodare Dio, certamente per la fede di qualcuno che ci ha preceduto – nella famiglia, in parrocchia, tra gli amici ecc … -, ma siamo e possiamo proclamare e vivere la nostra fede, grazie anche a questi due giganti di fede e umanità. Grazie a loro, che non si sono fatti bloccare dalla paura, dal rispetto umano, dall’eccessiva razionalità, ma che si sono lasciati trasformare dalla fede in Cristo, lo splendore del Vangelo è giunto sino a noi.
     La fede e la Chiesa non iniziano e finiscono con noi. La Rivelazione si è chiusa con la morte dell’ultimo apostolo e da allora niente può essere più aggiunto, perché Dio ha già donato tutto ciò che è necessario. Il giorno della Pentecoste è cominciato il tempo della Chiesa, ossia il tempo della Tradizione.
     Tutti noi siamo inseriti dentro una storia straordinaria, che non manca di ombre, ma ricca di splendide luci. La fede cristiana va consegnata, non tradita. Pensate che in latino il termine tradimento deriva dal latino trādere, che significa 'dare, affidare, consegnare'; quanto può diventare labile il confine tra lo zelo per la fede e il suo tradimento.
     La storia della Chiesa è fatta dalla responsabilità, a partire dagli Apostoli, di consegnare la fede, vivendola coerentemente, ma anche custodendola dalle deformazioni.
     La Chiesa è una comunità di persone, convocata da Dio e destinata a ricevere un dono, che a sua volta deve donare, consegnare, trasferire di mano in mano o ancora meglio, di cuore in cuore.
     La festa dei santi Apostoli ci ricorda che siamo custodi e non padroni della fede.
     Pietro e Paolo ci mostrano che la fede può essere vissuta radicalmente, ma in modi diversi, a partire dalla personalità di ognuno.
     Pietro è stato indubbiamente un uomo con dei limiti umani, capace di grandi slanci di generosità ma anche di grande codardaggine e testa dura;  eppure, proprio a lui, Gesù ha affidato il compito altissimo di guidare il popolo di Dio come pastore e custode.
     Ancora oggi noi cattolici, guardiamo a Pietro e ai suoi successori quando abbiamo bisogno di essere confermati nella fede. Egli rimane la voce di chi difende e accompagna la Chiesa.
      Paolo era invece un uomo integerrimo, oggi lo definiremmo rigidissimo che, grazie al suo carattere così forte, non ha cessato un istante di essere un annunciatore infaticabile e originale del Vangelo di Cristo.
     C’è stato spazio per l’uno e per l’altro, come c’è spazio per me e per ognuno di voi, non in attesa di una perfezione irraggiungibile, ma a partire da ciò che siamo e abbiamo oggi.

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