Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 11 ottobre 2014

Non cacciarmi, Signore



XXVIII DOMENICA T.O.

     Repetita juvant – è bene ripetere ciò che si vuole che gli altri capiscano – dicevano gli antichi. Mi pare che Gesù, in queste ultime settimane abbia applicato alla lettera questo principio. Sono cambiate le parole, le immagini, ma non la sostanza del messaggio. Continua a riproporci lo stesso problema, forse perché gli sta particolarmente a cuore.

     Dio offre il meglio agli uomini: domenica scorsa attraverso Isaia ha usato l’immagine della vigna di ottima qualità,  piantata su un fertile colle, dissoda, sgombrata dai sassi e affidata ai vignaioli. Oggi Gesù parla di una festa di nozze, di quelle tipiche dell’Oriente, dove viene messo a disposizione gli invitati tutto ciò che è di qualità.
     Come è bello viere la fede a partire dall’esperienza che riconosce concretamente  questi doni ; si sente scaturire dal cuore il canto del salmista: “Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?” (Salmo 115,12).
     Il regno di Dio ha a che fare con la bellezza e la pienezza. Noi cristiani siamo depositari, per pura grazia di Dio, della via bella della vita e della via della vita bella. Ne siamo consapevoli?  Sentiamo di essere dei privilegiati che, seppur profondamente fragili, sanno qual è la strada da percorrere?
     Altrimenti, come scrive il Pontefice: “Si sviluppa la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo. Delusi …, vivono la costante tentazione di attaccarsi a una tristezza dolciastra, senza speranza, che si impadronisce del cuore come «il più prezioso degli elisir del demonio». Chiamati a illuminare e a comunicare vita, alla fine si lasciano affascinare da cose che generano solamente oscurità e stanchezza interiore …” (EG 83).
     Di fronte al dono dovrebbe sgorgare la gratitudine per la bellezza che il Signore  mette a disposizione, invece, ecco la reazione: chiusura, rifiuto, indifferenza, quando non addirittura disprezzo, questo ci racconta la parabola di Gesù. Ancora una volta Egli vuol fare comprendere  al popolo d’Israele che, non accogliendolo, ha chiuso la porta a Dio stesso. Gesù però parla anche a noi.
     All’offerta di Dio, reagiamo, dicendo di avere altro da fare? Purtroppo il nostro è il tempo di chi ha altro da fare. Dimentichiamo però che, “chi vorrà salvare la propria vita, la perderà”, se cercherà di salvarla indipendentemente dal Cristo, perché “chi non raccoglie con (Lui), disperde” (Mt 12,30).
     Forse ci sentiamo tranquilli, perché abbiamo accolto l’invito alle nozze – se siamo qui in questo momento, invece  di stare a casa, non è per questo? -. E’ evidente che siamo noi quelli chiamati ai crocicchi delle strade, quell’insieme di persone raccolte da ogni vicolo della terra, cattive e buone. Questa è la Chiesa. Proprio per questo deve metterci in guardia la figura di quell’uomo, giunto alle nozze senza l’abito nuziale.
     Una volta a Messa si andava con l’abito più bello, ora succede che, non sempre si capisce se siamo vestiti per la spiaggia o per la Messa, ma il problema non è certamente a questo livello.
     Quando il figlio prodigo è ritornato a casa, il Padre gli ha fatto mettere l’abito più bello – letteralmente l’abito il primo -  στολὴν τὴν πρώτην -; il figlio ha cercato se stesso lontano dal Padre e ha perso la propria dignità; il Padre gliel’ha resa. Non l’ha rinnegato, l’ha riaccolto.
     Quando siamo stati battezzati, siamo stati rivestiti di un abito bianco; ci è stata data una nuova natura. Ecco allora, stare alle nozze senza l’abito nuziale è essere battezzati, senza vivere da battezzati; è essere cristiani, senza avere nulla a che fare col Cristo, perché non gli consentiamo di condizionare la nostra esistenza. Non avere l’abito nuziale è far parte fisicamente del Regno di Dio, ma senza aderirvi profondamente, perché più legati alle logiche del mondo, che a quelle di Dio.  
     Grazie Signore per avere chiamato anche me; anche se ero per strada e non ti cercavo; grazie perché mi hai preso anche se non ero tra i buoni; grazie, perché anche se non ho sempre con me l’abito buono, pazienti. Insegnami a non approfittare della Tua bontà e pazienza. Aiutami a percepire la bellezza del Tuo regno, così che, quando mi chiamerai di nuovo, subito, correrò da TE.
 

   












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