III DOM. DI PASQUA
“Saranno predicati a tutti i popoli la
conversione e il perdono dei peccati” (Lc 24,47). Questo è ciò che fanno
Pietro e Giovanni al tempio di Gerusalemme: dire a tutti che è possibile essere
perdonati.
La guarigione del paralitico, alla quale tutti danno tanta importanza,
sembra essere secondaria per i due apostoli. Sono stupiti di tutta
quell’attenzione rivolta a loro e la rifiutano, perché sanno molto bene, di
essere solamente strumenti; Gesù è l‘autore di quella guarigione. Essi non
vogliono che a causa loro il Signore
finisca in secondo piano. In quel momento, forse hanno capito, che il Signore
spesso guariva di nascosto e cercava di impedire la diffusione del fatto, per
evitare che, cercassero da Lui solo lo straordinario, i miracoli, le guarigioni
immediate ecc …
Quel che preme a Pietro invece, è richiamare alla conversione: “Convertitevi e cambiate vita, perché siano
cancellati i vostri peccati” (At 3,19). Prima ricorda loro cosa hanno
fatto: “avete consegnato e rinnegato (Gesù)
di fronte a Pilato, mentre egli aveva
deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete
chiesto che vi fosse graziato un assassino. Avete ucciso l’autore della vita”
(At 3, 13ss); poi li giustifica: “So che
avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi” (3,17), ma infine, li
invita a prendere coscienza e a cambiare.
Tutti hanno contribuito attivamente e con convinzione a uccidere Gesù?
Chiaramente no. Molti semplicemente si sono uniti alla massa, convinti che ciò
che pensa la maggioranza è vero, nonché giusto – tanti gridavano:
“Crocifiggilo” e allora si sono uniti -; altri hanno preferito farsi i fatti
loro e non rischiare, dimenticando che, non impedire il male, è già farlo;
altri ancora sapevano che, stare con la maggioranza conviene. E’ per questo che
il diavolo ama agire attraverso i pochi, lasciati fare dalla maggioranza.
Niente di nuovo sotto il sole, del resto, Gesù è stato ucciso a causa di
un referendum: “”Volete che vi lasci
libero Gesù o Barabba?”.
Quel che è importante, però, è l’invito
alla conversione. Questa è una parola straordinaria, di cui non riusciamo percepire
fino in fondo la forza dirompente. Ci limitiamo a immaginare la conversione,
come a uno sforzo, spesso fallimentare,
per diventare migliori, invece, è innanzitutto una grazia. Ebbene sì, innanzitutto,
Dio ci dice che non ci condanna a rimanere legati al nostro passato.
Spesso condanniamo e ci autocondanniamo a una pena eterna, per quanto detto o
fatto di male: Dio non agisce così. Il Signore chiama male il nostro male e ce
lo indica con precisione, non per farci soffrire inutilmente o per umiliarci,
ma per guarirci, dopo di che, ci fa nuovi: “Cambiate
vita, perché siano cancellati i vostri peccati”. Questo è il senso più profondo della
conversione. Dio non ci dice : “Tu non cambierai mai”, ma al contrario: “Tu
puoi essere migliore, perché non sei
malvagio, anche se hai fatto cose cattive”.
La grazia della conversione dice, che Dio
guarda quel che siamo oggi, non quel che eravamo ieri; ascolta ciò che diciamo
oggi, non ciò che abbiamo detto ieri. Scrive san Giovanni Crisostomo: “Hai peccato? Va’ in chiesa e lavati dai tuoi
peccati. Ogni volta che ti succede di cadere, rialzati di nuovo; ogni volta che
tu pecchi, pentiti dei tuoi peccati. Non disperare. Anche se tu pecchi una
seconda volta, pentiti una seconda volta. Non perdere la speranza nei beni che sono preparati per te. Perché la Chiesa è
l’ospedale della guarigione, non un tribunale; non un luogo dove i peccatori
espiano la pena, ma dove il perdono è donata all’essere umano” (Omelia sulla penitenza).
Dobbiamo avere l’umiltà del pubblicano al tempio, il quale, mentre il
fariseo, stando in prima fila si vanta con Dio della propria bontà e bravura, riconosce
di essere una creatura povera e peccatrice; egli se ne sta in fondo,
consapevole di non essere degno. Dio guarda il cuore e vede una creatura nuova,
desiderosa di una vita nuova: gliela concede.
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