III DOM. AVV.
Valgono per Giovanni Battista, le parole pronunciate per un altro
profeta, Elia:”La sua parola bruciava
come fiaccola” (Sir 48, 1). Ebbene si, ancora una volta siamo investiti da
parole aspre, dure, dolorose;
ancora più faticose da accogliere per chi, come
noi, vive nel tempo dell’antilingua, che conia appositamente le parole pur di
nasconderne il vero significato e del politicamente corretto, che pur di non
creare tensioni, nasconde la verità. Sarà un caso, invece, ma il demonio quando cerca di tentare, è
spesso mellifluo, usa parole morbide, come le esche avvelenate, belle e
profumate all’esterno, ma mortali all’interno. Non per niente Gesù usa la
metafora dei lupi travestiti da agnelli, per indicare coloro che sono figli
delle tenebre.
Giovanni grida a coloro che erano andati a farsi battezzare: “Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di
poter sfuggire all’ira imminente?” (Mc 3,7).
Egli ha lo stile dell’Antico Testamento, dove la misericordia di Dio, seppur
già risplende, non ha la chiarezza definitiva, senza se e senza ma, che Gesù ha
manifestata. Evidentemente però, il Battista, sa chi ha davanti; forse c’è
gente che sta lì per compiere un rito, vuoto di contenuto e Giovanni non ci sta
a diventarne complice. Egli ha paura che costoro si servano di lui, per
mettersi a posto la coscienza, senza però cambiare vita.
Del resto san Paolo ha scritto: “come
Dio ci ha trovati degni di affidarci il vangelo così lo predichiamo, non
cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori” (1Ts
2,4).
Dobbiamo riconoscere che queste gente
è meno peggio di quanto non appaia, infatti, invece di andarsene
irritati per la durezza del profeta, lamentando la sua incapacità di
comprendere e di essere misericordioso, si è lasciata provocare, scuotere. Lo
dimostra la domanda che viene rivolta a Giovanni: “Che cosa dobbiamo fare” (3,10;12;14).
La parola li ha scossi, come uno shock salutare.
Ecco che emerge allora la misericordia: Giovanni non propone cose
impossibili, non giudica, ma pur consentendo alle persone di continuare a stare
dove sono e a fare quel già fanno, chiede loro di farlo in maniera diversa.
Gli esattori delle tasse non devono cambiare lavoro, i militari non
devono diventare pacifisti, i ricchi non devono andare a mendicare; a loro è
chiesto di svolgere la loro attività come servizio, non come luogo di potere;
di essere profondamente onesti e non approfittare del proprio ruolo; di saper
condividere ciò che si possiede, in modo che a nessuno debba mancare il necessario.
Giovanni ci insegna che la prima lotta
nella conversione non è con chi sta fuori di noi, non è con le
strutture, ma con noi stessi. Quando il Signore riuscirà a convertire noi,
attraverso di noi, convertirà le strutture. Gli uomini nuovi, fanno le realtà
nuove.
Dopo le parole forti, ma salutari, di Giovanni, lasciamoci addolcire un
attimo da Sofonia, il profeta che ci invita alla gioia, all’esultanza. Le sue
parole non hanno bisogno di commento, ma di essere ripetute, in modo che penetrino
nel profondo del cuore e producano anche’esse un frutto buono: “Non temere … non lasciarti cadere le
braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente” (Sof
3,16s). Questa settimana, per me, queste parole sono state un toccasana. So
benissimo che non tutto può andare bene, come vorrei che andasse, ma sono certo
che non sono solo, che il Signore è il mio Salvatore potente; per questo sono altrettanto
certo che, come scrive Paolo: “Tutto
concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati
secondo il suo disegno” (Rm 8,27).
Aiutaci Signore a non fuggire dalla Tua parola, anche quando ci sembra
spinosa; faccela accogliere per ciò che è: Tua parola per la nostra salvezza.
Facci anche sentire che, davvero Tu non sei un Dio lontano, indifferente,
pretenzioso, ma il Salvatore dolce e potente, di ognuno di noi.
Nessun commento:
Posta un commento