Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 15 luglio 2017

Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire



XV DOM. T.O.

    "Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire"; «è un dialogo tra sordi»:
sono solo due proverbi che la sapienza popolare ha prodotto e che ripetono, in sintesi, ciò che Gesù ci ha appena detto: “Il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri d’orecchi e hanno chiuso gli occhi” (Mt 13,15).
     Esiste una differenza sostanziale tra ascoltare e sentire. Il nostro sistema uditivo entra in causa in entrambe i casi, ma con una differenza, mentre nel sentire è solo l’udito a essere coinvolto nel processo, quando si ascolta c’è una condizione di disponibilità di accoglienza. Il primo caso è paragonabile all’acqua gettata su della formica – scivola via -, l’altro alla stessa acqua versata sulla sabbia – scende in profondità -. Ascoltare significa prestare attenzione, pensare e ragionare. Normalmente non serve a nulla parlare con chi non ascolta, perché nulla potrà raggiungere la persona. Pensate per esempio agli incontri fatti con i Testimoni di Geova; essi non ci fermano per conoscerci e ascoltarci, magari per arricchirsi dall’incontro con noi; per capire di quale parola abbiamo bisogno, ma per indottrinarci; se ci ascoltano è solo per tirare fuori dal cilindro la frase fatta che gli hanno insegnato, per ribattere.
     Dio ci cerca – “Sono alla tua porta e busso” -, ma ci lascia liberi, perché l’amore non ha nulla a che fare con la costrizione.
     Così come il seme porta frutto a seconda del terreno che incontra, così dalla nostra disponibilità dipendono i frutti della Parola di Dio. Il Signore è un seminatore che dà fiducia a tutti i terreni e lascia che il seme cada anche sull'asfalto, sui sassi e tra i rovi, oltre che sul terreno fertile. Egli è un Dio abbondante e non c'è terreno che per Lui non possa portare frutto. In molti modi Gesù ci ripete che, per quanto Lo riguarda, finché siamo in vita, non siamo mai peccatori perduti e totalmente inadeguati. Lui è venuto per noi, per curarci e guarirci.
     Nel V secolo si sviluppò l’eresia pelagiana, secondo la quale  l'uomo può con le sue forze e la volontà, osservare i comandamenti di Dio e salvarsi; la grazia di Dio gli è data solo per facilitare l'azione. Parafrasando la parabola, l’uomo sarebbe in grado di produrre da solo un raccolto abbondante. A questa convinzione, se non bastasse l’esperienza personale di ognuno di noi che, sa quanto sia fragile la volontà, aggiungiamo le parole del bellissimo Salmo 127: “Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori. Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella” (127,1). Noi sappiamo che da soli non siamo che fragili creature, condizionate da una molteplicità di fattori che, senza la Grazia non riusciamo ad andare lontano.
    Premesso questo non possiamo considerare la volontà totalmente inutile; essa è fondamentale quando amiamo qualcosa o qualcuno. Quando desideriamo realmente, ci adoperiamo per raggiungere ciò che desideriamo. Il desiderio  è il motore della volontà. Diventiamo terreno buono, quando desideriamo conoscere la volontà di Dio: “O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l'anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua” (Salmo 63,1).
     Quand’è che comprendiamo che  la Parola ha messo radici e sta producendo frutto? Quando vediamo maturare un frutto concreto. Non possiamo accontentarci di frutti teorici; intuizioni spirituali, emozioni dello spirito, dobbiamo vedere maturare un frutto: “Abbiamo le chiese, le proprietà e tutto il resto, l’Eucaristia viene celebrata ogni giorno e il popolo viene ad assistere ogni giorno, e così ci illudiamo di essere a posto? Ma la Chiesa non si giudica in base a questo! E in base a che cosa allora? … Se c’è devozione, se ogni giorno ritorniamo a casa con qualche guadagno, con qualche frutto grande o piccolo … Chi di noi, partecipando per un mese intero a queste riunioni, è diventato migliore? Questo è ciò che dobbiamo chiederci” (San Giovanni Crisostomo, Omelie sugli Atti degli Apostoli, 29,3).
     Eccoci qui, Signore; non sempre siamo quel terreno fertile che, Tu vorresti: non arrenderti; aspettaci. Non siamo cattivi, Signore, ma tanto fragili. Mandaci qualcuno che ci insegni ad ascoltare e ad accogliere la Tua Parola che, ci aiuti a rivoltare con l’aratro il terreno indurito, a gettare via dal campo i sassi e a sradicare le spine. Quanto ne abbiamo bisogno! Noi sappiamo che “solo Tu hai parole di vita eterna”.

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