XV DOM. T.O.
"Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire"; «è un dialogo tra
sordi»:
sono solo due proverbi che la sapienza popolare ha prodotto e che
ripetono, in sintesi, ciò che Gesù ci ha appena detto: “Il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri
d’orecchi e hanno chiuso gli occhi” (Mt 13,15).
Esiste una differenza sostanziale tra ascoltare e sentire. Il nostro sistema uditivo entra in causa in
entrambe i casi, ma con una differenza, mentre nel sentire è solo l’udito a
essere coinvolto nel processo, quando si ascolta c’è una condizione di
disponibilità di accoglienza. Il primo caso è paragonabile all’acqua gettata su
della formica – scivola via -, l’altro alla stessa acqua versata sulla sabbia –
scende in profondità -. Ascoltare
significa prestare attenzione, pensare e ragionare. Normalmente non
serve a nulla parlare con chi non ascolta, perché nulla potrà raggiungere la
persona. Pensate per esempio agli incontri fatti con i Testimoni di Geova; essi
non ci fermano per conoscerci e ascoltarci, magari per arricchirsi
dall’incontro con noi; per capire di quale parola abbiamo bisogno, ma per
indottrinarci; se ci ascoltano è solo per tirare fuori dal cilindro la frase
fatta che gli hanno insegnato, per ribattere.
Dio ci
cerca – “Sono alla tua porta e busso”
-, ma ci lascia liberi, perché l’amore non ha nulla a che fare con la
costrizione.
Così come il seme porta frutto a seconda del terreno
che incontra, così dalla nostra disponibilità dipendono i frutti della Parola
di Dio. Il Signore è un seminatore che dà fiducia a tutti i terreni e lascia
che il seme cada anche sull'asfalto, sui sassi e tra i rovi, oltre che sul
terreno fertile. Egli è un Dio abbondante e non c'è terreno che per Lui non
possa portare frutto. In molti modi Gesù ci ripete che, per quanto Lo riguarda,
finché siamo in vita, non siamo mai peccatori perduti e totalmente inadeguati.
Lui è venuto per noi, per curarci e guarirci.
Nel V secolo si sviluppò l’eresia pelagiana, secondo la quale l'uomo può con le sue forze e la volontà,
osservare i comandamenti di Dio e salvarsi; la grazia di Dio gli è data solo
per facilitare l'azione. Parafrasando la parabola, l’uomo sarebbe in grado di
produrre da solo un raccolto abbondante. A questa convinzione, se non bastasse
l’esperienza personale di ognuno di noi che, sa quanto sia fragile la volontà,
aggiungiamo le parole del bellissimo Salmo 127: “Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i
costruttori. Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella”
(127,1). Noi sappiamo che da soli non siamo che fragili creature, condizionate
da una molteplicità di fattori che, senza la Grazia non riusciamo ad andare
lontano.
Premesso questo non possiamo considerare la volontà totalmente inutile;
essa è fondamentale quando amiamo qualcosa o qualcuno. Quando desideriamo
realmente, ci adoperiamo per raggiungere ciò che desideriamo. Il desiderio è il motore della volontà. Diventiamo terreno
buono, quando desideriamo conoscere la volontà di Dio: “O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te
l'anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua” (Salmo
63,1).
Quand’è che comprendiamo che la
Parola ha messo radici e sta producendo frutto? Quando vediamo maturare un
frutto concreto. Non possiamo accontentarci di frutti teorici; intuizioni
spirituali, emozioni dello spirito, dobbiamo vedere maturare un frutto: “Abbiamo le chiese, le proprietà e tutto il
resto, l’Eucaristia viene celebrata ogni giorno e il popolo viene ad assistere
ogni giorno, e così ci illudiamo di essere a posto? Ma la Chiesa non si giudica
in base a questo! E in base a che cosa allora? … Se c’è devozione, se ogni
giorno ritorniamo a casa con qualche guadagno, con qualche frutto grande o
piccolo … Chi di noi, partecipando per un mese intero a queste riunioni, è
diventato migliore? Questo è ciò che dobbiamo chiederci” (San Giovanni
Crisostomo, Omelie sugli Atti degli
Apostoli, 29,3).
Eccoci qui, Signore; non sempre siamo quel terreno fertile che, Tu
vorresti: non arrenderti; aspettaci. Non siamo cattivi, Signore, ma tanto
fragili. Mandaci qualcuno che ci insegni ad ascoltare e ad accogliere la Tua
Parola che, ci aiuti a rivoltare con l’aratro il terreno indurito, a gettare
via dal campo i sassi e a sradicare le spine. Quanto ne abbiamo bisogno! Noi
sappiamo che “solo Tu hai parole di vita
eterna”.
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