XXX DOM. T.O.
“Amerai il Signore tuo Dio con
tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” (Mt
22,37). Sembrano parole esagerate o quasi impossibili da vivere, ma in realtà,
se ci fermiamo un attimo a riflettere, riconosciamo che sono assolutamente ovvie.
L’amore autentico, infatti, è
sempre totalizzante. Chi ama per davvero, non trattiene per sé, mentre, viceversa,
chi non dona se stesso, il proprio tempo, le proprie cose, persino la rinuncia
ai propri desideri, difficilmente può dire di amare. Amare, è avere al centro del
proprio interesse, non se stessi, bensì l’altro. Lo sanno molto bene i genitori
che, per i propri figli fanno ogni genere di sacrificio; quei coniugi che
vivono la loro relazione come vera donazione e coloro che, per il bene dei
fratelli, spendono la loro esistenza
Noi stessi sappiamo bene chi ci ama e chi no, proprio a partire dalla
misura del dono. Prendendo a prestito le
parole di sant’Antonio di Padova, diciamo: “Tacciano le parole, parlino le opere”; chi ci dice parole
“d’amore”, ma non compie fatti d’amore, non ci convince.
Ecco allora che, se vogliamo fare verità su di noi e capire se davvero amiamo
il Signore, dobbiamo guardare i fatti che compiamo nei Suoi confronti.
Attenzione però, perché rischiamo di andare subito in crisi, quando
riconosciamo che, tutto sommato, non facciamo molto per Lui.
Ricordate la povera vedova al Tempio? Tra tutte le persone in fila per fare l’offerta, Gesù nota solo
quella. In realtà vede anche tutti gli altri, con le loro offerte generose, ma sente il profumo solo del dono di
quella poveretta. Perché? Per la semplice ragione che ha donato TUTTO, non
MOLTO.
Questo tema mi è molto caro e, ne ho già parlato in passato. Noi
crediamo che Dio voglia MOLTO da noi, in realtà si accontenta del TUTTO. La
differenza è sostanziale, perché per dare molto, bisogno avere molto: molto tempo,
molto denaro, molta salute,
molta intelligenza, molte capacità,
molta pazienza, molte energie
ecc … Il problema però sorge quando non abbiamo nulla di tutto ciò. Facilmente,
se siamo persone serie, cadiamo nello sconforto, riconoscendo di essere davvero
poveri davanti a Dio. Al Signore però basta che gli doniamo ciò che abbiamo,
anche se è poco, perché quello è TUTTO ciò che possiamo darGli. Molti di noi
sono condizionati da altri nell’organizzare l’esistenza e non possono disporre
pienamente di se stessi. Provate a pensare alla preghiera fedele, ma stanca e
un po’ biascicata di una donna, dopo che s’è occupata della famiglia, della
casa, eventualmente del lavoro; davvero possiamo pensare che per Dio questa non
è un bell’atto di amore?[1]
Coloro che, la domenica, hanno l’unico giorno libero e scelgono di donarlo a
Dio partecipando all’Eucaristia, cercando di viverla in pienezza, non Gli
stanno forse dicendo una parola d’amore?
Il problema esiste solo quando
abbiamo tempo, risorse, intelligenza, ecc … e non le restituiamo a Dio, se non
con il “minimo sindacale”, e le spendiamo altrove, allora lì è evidente che non
c’è amore. L’AMORE NON è MAI AVARO.
Questa sera, tornando a casa, dobbiamo chiederci onestamente: ciò che
sto donando a Dio è tutto ciò che ho o solamente i ritagli, gli avanzi? Non ho
altro o in realtà lo sto usando diversamente?
L’altra faccia della medaglia – “amerai
il prossimo tuo come te stesso” -, se possibile, ci sembra ancora più
difficile da vivere. Anche qui, però, dobbiamo rasserenarci. Amare il prossimo, non può essere il frutto dei
nostri sforzi: sarebbe un fine irraggiungibile. Credo che nessuno possa imporsi
di amare qualcun altro. L’amore per il
prossimo e frutto dell’amore di Dio e per Dio. Quando il Signore abita
davvero nel cuore di una persona, INEVITABILMENTE, porta con sé l’amore per gli
altri che si esprimerà in un modo o in un altro. Da questo punto di vista ci è
molto di aiuto l’evangelista Giovanni con la sua prima lettera: “Chi dice di essere nella luce e odia suo
fratello, è ancora nelle tenebre”
(1Gv
2,9); “chiunque ama è stato generato da
Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”
(4,7s).
Possiamo davvero usare il proverbio: “Pigliare due piccioni con una fava”.
Chi apre la porta al Signore, sa già con certezza che farà spazio agli
altri. Non sempre lo farà con gioia e senza fatica; spesso dovrà piangere e
sudare sangue, ma non potrà non farlo. Del resto ci dice ancora Giovanni: “Se uno dice: «Io amo Dio» e odia suo
fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non
può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20).
[1]
(Omar
Kamal, Huffington Post): Stando
a un'applicazione che mi hanno segnalato, negli ultimi nove anni della mia vita
avrei perso una cosa come 10mila ore di sonno. L'applicazione in questione
si trova online e si chiama "The Lost Sleep Calculator For
Parents" e una volta inserito il numero dei propri
figli (e relativa età) fornisce il numero di ore perse nel cuore della notte,
ore perse nel tentativo di prenderci cura dei nostri bambini. Per la
precisione - nel mio caso - il sistema in questione sostiene che di ore ne
avrei perse 9.990. Per capirci, entro due settimane, io e la mia signora
taglieremo il traguardo delle 10mila ore di sonno saltate per aria.
Perché sì, lei si è sempre alzata, e io insieme a lei. E ora devo comunicarle
che dobbiamo festeggiare questo primo imponente traguardo.
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