Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 16 febbraio 2019

Nell'andare se ne va e piange


VI DOM T.O.

     Maledetto l’uomo che confida nell’uomo” (Ger 17,5). Potrebbe sembrare una maledizione, ma in realtà non è che una constatazione. Chi si affida solo a ciò che è umano, è destinato al fallimento.
     Chi è questo uomo? Se stessi.

     C’è un amore per sé che è segno di una personalità matura ed equilibrata che, non si sopravvaluta, ma nemmeno si disprezza; nasce dalla consapevolezza di essere voluti da Dio, di avere un senso e di essere “come un prodigio”.
     C’è però un “amore” per sé che è malato, perché fa credere di essere autosufficienti, di bastare a se stessi. Oggi siamo ammalati di un individualismo che conduce alla solitudine, negazione dell’umanità. L’uomo si compie nella relazione. Che illusione l’autosufficienza! Presto o tardi mostrerà la sua drammatica inadeguatezza: “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se la città non è custodita dal Signore, invano veglia il custode” (Salmo 126). Ascoltiamo il dialogo tra Saul, Davide e Golia: “Saul rispose a Davide: «Tu non puoi andare contro questo Filisteo a combattere con lui: tu sei un ragazzo e costui è uomo d’armi fin dalla sua adolescenza … Poi il Filisteo disse a Davide: «Fatti avanti e darò le tue carni agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche …  Davide aggiunse: «Il Signore che mi ha liberato dalle unghie del leone e dalle unghie dell’orso, mi libererà anche dalle mani di questo Filisteo»…. Saul rivestì Davide della sua armatura, gli mise in capo un elmo di bronzo e lo rivestì della corazza. Poi Davide cinse la spada di lui sopra l’armatura e cercò invano di camminare, perché non aveva mai provato. Allora Davide disse a Saul: «Non posso camminare con tutto questo, perché non sono abituato». E Davide se ne liberò. … Il Filisteo scrutava Davide e, quando lo vide bene, ne ebbe disprezzo, perché era un ragazzo, fulvo di capelli e di bell’aspetto. … ». Davide rispose al Filisteo: «Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con l’asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere d’Israele, che tu hai sfidato» (1Sam 17,33; 37ss).

     Invece che su se stessi si può fondare la propria vita su un altro, affidandogli il potere di gestire  e determinare l’esistenza. C’è chi si affida a un leader politico, religioso o su una persona amata, ma quando questo viene meno o si rivela inadeguato, tutto crolla. Basta un cambio di regime, il trasferimento di un parroco o un lutto, per lasciare tra le mani solo rovine e tutto da ricostruire. Andando in cerca però di un nuovo “leader”, non si fa altro che riavviare lo stesso meccanismo.
     Per questo è maledetto ci confida nell’uomo e solo in ciò che è umano, perché costruisce la sua casa su fondamenta non solide che, non resistono alle prove del tempo.
     Non stiamo demonizzando ciò che è umano, perché sappiamo bene che tutto ciò che è uscito dalle mani di Dio è “buono”, ma diciamo che non è sufficiente e adeguato a saziare l’uomo: “Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini” (1Cor 15,19).
     Per contro, Gesù dice: “Beati quelli che sono poveri … che piangono … dei quali dicono male”; non è un’esaltazione della miseria e della sofferenza. Sono beati quelli che sono poveri che si sentono mancanti di qualcosa e quindi sanno affidarsi, perché sono consapevoli di non essere autonomi e sanno chiedere aiuto. Costoro danno la possibilità a Dio di agire nella loro storia. La spogliazione, tempo di verità, facendoci scoprire impotenti, apre alla disponibilità; per questo a san Paolo che chiede di essere liberato da qualcosa che lo tormenta, Gesù risponde: “Nella tua debolezza di manifesta la mia forza” (2Cor 12,9). Ascoltiamo invece le parole di Apocalisse: “Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo” (Ap 3,17s).
     Questi “poveri” ricevono il Regno di Dio, perché consentono a Dio di regnare nella loro vita; non sentendosi autosufficienti, gli lasciano spazio. Il “ricco” invece, ha tutto lo “spazio” occupato.
     Essi piangono, perché sono disponibili a percorrere tutta la strada necessaria per giungere alla vita, con tutte le sue fatiche e croci: “Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. Nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni”
(Salmo 126).
     Non lasciare o Padre che la fatica ci blocchi; asciuga le nostre lacrime mentre camminiamo con Te; regna nella nostra storia; sii Tu il Signore della vita.

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