XVI
DOM. T.O.
Domenica
scorsa il Signore Gesù ci ha lasciati, dicendoci: “Va’,
e anche tu fa lo stesso”,
dopo averci raccontato la parabola del “Buon Samaritano”.
Ci ha
mostrato che ci sono due modi per affrontare la fatica dell’uomo:
tirare diritto, andando dall’altra parte della strada, non
lasciandosi provocare
oppure,
diventare “albergo” (pandokeion),
dove tutti possono trovare accoglienza. Oggi però ci fa fare un
passo avanti e ci mostra che non basta fermarsi a occuparsi
dell’altro, perché c’è modo e modo di “fare
misericordia”.
Ciò
che davvero salva l’uomo, è la consapevolezza di essere prezioso,
non
roba di scarso valore e da buttare.
Si può fare la carità, ma senza carità, umiliando e facendo
arrabbiare l’altro. Nella
nostra Mensa passano quotidianamente centinaia di persone; c’è una
cosa che pretendono: il rispetto della loro dignità. Diventano molto
aggressivi quando hanno la sensazione, a volte immotivata, di non
essere trattati come meritano. Chi si accorge di essere trattato come
persona di serie B, di ricevere gli scarti, ecc … non si sente
amato. Ogni
tanto capita qualcuno che ci porta cibo scaduto o indumenti sporchi:
questo è un modo per fare una presunta carità.
Scrive
l’apostolo Giacomo: “Fratelli
miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della
gloria, sia immune da favoritismi personali. Supponiamo che, in una
delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito,
vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito
logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite:
«Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là,
in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non
fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?”
(Gc 2,1ss).
San
Paolo ha uno straordinario inno che vale la pena risentire: “Se
parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la
carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e
avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare
le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche
dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne
vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. La carità è
magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta,
non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il
proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto
scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1Cor
13,1ss). Si possono fare cose buone, addirittura eroiche, ma senza
carità, senza amore.
Marta
è una gran donna, ma oggi sta agendo proprio così, senza troppo
amore.
E’ arrabbiata con sua sorella (forse c’è anche una tensione
precedente), ma se la prende anche con Gesù, ospite incolpevole,
perché, secondo
lei, non
avrebbe nessuna sensibilità; non
si accorge nemmeno di quanto
è
stanca e,
soprattutto non sta dalla sua parte.
In questo momento Marta, pur così preziosa per il suo lavoro, non
sta accogliendo veramente Gesù: lei è il centro di tutto.
Perché,
invece, Maria si è scelta la parte “buona”,
quella che non le sarà tolta? Non sta facendo nulla di utile. Maria,
in
realtà,
ha a cuore proprio l’ospite, ha compreso che Gesù è lì, non per
mangiare, ma per essere
ascoltato
e lei, con attenzione Gli
regala il suo tempo.
Vi
confesso che, in
questi anni,
mi
sono accorto quanto
è
più facile dare da mangiare che, ascoltare pazientemente le persone.
Permettere
all’altro di dettare i tempi, è molto faticoso; ma l’amore è
così.
Ho
letto alcuni giorni fa una frase insulsa: “Sono
più utili due mani che aiutano, piuttosto che due mani che pregano”.
E’ come dire
che, chi prega non ha tempo per soccorrere chi è in difficoltà.
In realtà l’atteggiamento di Maria è precondizione fondamentale.
Chi sta davvero con il Signore, facendogli spazio concretamente nella
propria carne, si trova inevitabilmente nell’impossibilità di
andare oltre il sofferente. La relazione con Dio, impedisce
l’indifferenza.
Tutto
ciò
è talmente vero che, l’apostolo Giovanni, afferma in maniera
lapidaria: “Chi
non ama il fratello che vede, non può amare Dio che non vede”;
è l’amore verso gli uomini che misura l’amore per Dio. Ripeto,
ciò che dico spesso: “La
fede non
fa crescere le ali, rendendoci angelici, ma le mani e i piedi”.
La
fede rende uomini e donne profondamente responsabili del creato e non
teorici staccati dalla realtà. I Santi che tanto amiamo, ne sono la
prova provata.
Padre,
non farmi scegliere tra Marta e Maria, ma che io sappia stare ai Tuoi
piedi, in ascolto della Tua Parola che, “come
spada a due tagli”
vuole penetrare nel mio profondo per curarlo, così che possa tornare
nel mondo, con uno sguardo di misericordia e un cuore accogliente.
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