XXX DOM. T.O.
Pregare,
non è questione di parole o di luoghi:
“non
sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a
forza di parole”
(Mt 6,7); “I
nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a
Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice:
«Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a
Gerusalemme adorerete il Padre”
(Gv 4,20s). In
una sua bellissima canzone Giorgio Gaber, parla di “parole
che son come fiori, ma finte e senza profumo” (G.
Gaber, Parole,
parole).
Oggi
vediamo davanti a noi due uomini nel luogo sacro per
eccelenza
che, dicono preghiere, eppure
uno solo dei due sta pregando.
Il
Fariseo sta compiendo formalmente tutto ciò che è necessario, ma
Dio non è che una scusa; Dio non c’entra niente. Egli
sta
solamente
guardando se stesso, quasi come Narciso che contempla il suo
bellissimo volto riflesso nelle acque - anche
in greco si può leggere che sta pregando rivolto “verso se
stesso”-. Noi
diremmo che “se
la canta e se la suona”,
parla
con se stesso, di quanto è bravo e
bello,
soprattutto
rispetto a coloro che lo circondano. Egli
sente di essere una meraviglia in mezzo a un mondo malato. Che
tristezza!
Questa
non è altro che una parodia della preghiera.
Quando
si è in due e, parla uno solo, non c’è dialogo, ma monologo e
l’altro non è che un orecchio,
tenuto ad ascoltare. Quando
questo avviene con Dio, per lo meno, non chiamiamola preghiera. Non
c’è preghiera se Dio non è il centro. Solo
quando
Lui entra
in relazione con noi,
perché
Gli apriamo la porta,
inizia
la preghiera e, nasce
uno sguardo nuovo su noi
stessi
e sugli altri.
“Ecco,
io la sedurrò,la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore”
(Os
2,16): quando
il Signore riesce a parlare al nostro cuore, impariamo a conoscerci
per la prima volta, perché ci vediamo con i Suoi occhi. Scopriamo
una bellezza che ci era sconosciuta e
che ci commuove,
ma vediamo anche quei lati oscuri che ci abitano e
che, se non curati, appesantiscono la
vita,
fino
a farla morire.
Così
muoiono nello stesso momento, la presunzione – perché vediamo ciò
che non va in noi -, ma anche la mancanza di amore per noi stessi,
perché riconosciamo i doni di cui il Signore ci ha resi ricchi.
Siamo
impasto di “terra” e soffio divino: questa è la nostra identità.
Cambia
poi
inevitabilmente lo
sguardo anche sugli altri, anzi possiamo dire che, se non cambia lo
sguardo sugli altri, dobbiamo ancora camminare: “Chi
dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle
tenebre. ... chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle
tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi
occhi”
(1Gv 2,9ss); “chiunque
ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha
conosciuto Dio, perché Dio è amore”
(4,7s);
“Se
uno dice: «Io amo Dio» e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi
infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che
non vede. ” (4,20s).
Non
per niente Gesù ci ha detto che “se
dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che
tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono
davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello
e poi torna a offrire il tuo dono”
(Mt
5, 23s).
Altro
che, “come sono bello io” e “come sono brutti gli altri”.
Con
la preghiera non si cessa di vedere il male che abita in sé e negli
altri; essa non rende ciechi, anzi permette di scrutare
in profondità, oltre l’apparenza e
di vedere ciò che è nascosto.
Il pubblicano non è un santo, è uno che, oggettivamente,
approfitta del suo ruolo per arricchirsi alle spalle del proprio
popolo,
collaborando
con l’occupatore romano, eppure quello che fa, gli pesa; è
cosciente di stare sbagliando. Forse non è ancora arrivato alla fine
del cammino di
conversione,
ma certamente è per strada; ha preso consapevolezza che non può
esser di Dio e vivere disonestamente.
Il
Fariseo invece, è una persona per bene: digiuna, paga le decime
previste, non è ladro, ingiusto, adultero, eppure non è gradito a
Dio. Perché? “all’esterno
apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di
ipocrisia e di iniquità”
(Mt 23,28); “non
conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma
il Signore vede il cuore»
(1Sam 16,7); “Se
dico: «Almeno le tenebre mi avvolgano e la luce intorno a me sia
notte», nemmeno le tenebre per te sono tenebre e la notte è
luminosa come il giorno; per te le tenebre sono come luce”
(Salmo 139,11s). Dio
ci “presta” i Suoi occhi che, riescono a vedere la bellezza,
anche se nascosta, ma riconoscono il male, anche se mascherato dal
bene. Egli vede il lupo, anche quando è travestito da agnello.
Quando
Ti accorgi che siamo come questo povero fariseo, Signore, tiraci le
orecchie, come sai fare Tu, donaci in vece il cuore del pubblicano,
capace di soffrire per il male che ci abita. Vogliamo entrare nel
mondo della verità e non dell’illusione.
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