Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 27 ottobre 2019

Se la canta e se la suona

XXX DOM. T.O.

Pregare, non è questione di parole o di luoghi: “non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole” (Mt 6,7); “I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre” (Gv 4,20s). In una sua bellissima canzone Giorgio Gaber, parla di “parole che son come fiori, ma finte e senza profumo” (G. Gaber, Parole, parole).

Oggi vediamo davanti a noi due uomini nel luogo sacro per eccelenza che, dicono preghiere, eppure uno solo dei due sta pregando.
Il Fariseo sta compiendo formalmente tutto ciò che è necessario, ma Dio non è che una scusa; Dio non c’entra niente. Egli sta solamente guardando se stesso, quasi come Narciso che contempla il suo bellissimo volto riflesso nelle acque - anche in greco si può leggere che sta pregando rivolto “verso se stesso”-. Noi diremmo che “se la canta e se la suona”, parla con se stesso, di quanto è bravo e bello, soprattutto rispetto a coloro che lo circondano. Egli sente di essere una meraviglia in mezzo a un mondo malato. Che tristezza!
Questa non è altro che una parodia della preghiera.
Quando si è in due e, parla uno solo, non c’è dialogo, ma monologo e l’altro non è che un orecchio, tenuto ad ascoltare. Quando questo avviene con Dio, per lo meno, non chiamiamola preghiera. Non c’è preghiera se Dio non è il centro. Solo quando Lui entra in relazione con noi, perché Gli apriamo la porta, inizia la preghiera e, nasce uno sguardo nuovo su noi stessi e sugli altri.
Ecco, io la sedurrò,la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2,16): quando il Signore riesce a parlare al nostro cuore, impariamo a conoscerci per la prima volta, perché ci vediamo con i Suoi occhi. Scopriamo una bellezza che ci era sconosciuta e che ci commuove, ma vediamo anche quei lati oscuri che ci abitano e che, se non curati, appesantiscono la vita, fino a farla morire. Così muoiono nello stesso momento, la presunzione – perché vediamo ciò che non va in noi -, ma anche la mancanza di amore per noi stessi, perché riconosciamo i doni di cui il Signore ci ha resi ricchi. Siamo impasto di “terra” e soffio divino: questa è la nostra identità.
Cambia poi inevitabilmente lo sguardo anche sugli altri, anzi possiamo dire che, se non cambia lo sguardo sugli altri, dobbiamo ancora camminare: “Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. ... chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi” (1Gv 2,9ss); “chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (4,7s); “Se uno dice: «Io amo Dio» e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. ” (4,20s). Non per niente Gesù ci ha detto che “se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono (Mt 5, 23s). Altro che, “come sono bello io” e “come sono brutti gli altri”.
Con la preghiera non si cessa di vedere il male che abita in sé e negli altri; essa non rende ciechi, anzi permette di scrutare in profondità, oltre l’apparenza e di vedere ciò che è nascosto. Il pubblicano non è un santo, è uno che, oggettivamente, approfitta del suo ruolo per arricchirsi alle spalle del proprio popolo, collaborando con l’occupatore romano, eppure quello che fa, gli pesa; è cosciente di stare sbagliando. Forse non è ancora arrivato alla fine del cammino di conversione, ma certamente è per strada; ha preso consapevolezza che non può esser di Dio e vivere disonestamente.
Il Fariseo invece, è una persona per bene: digiuna, paga le decime previste, non è ladro, ingiusto, adultero, eppure non è gradito a Dio. Perché? “all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità” (Mt 23,28); “non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (1Sam 16,7); “Se dico: «Almeno le tenebre mi avvolgano e la luce intorno a me sia notte», nemmeno le tenebre per te sono tenebre e la notte è luminosa come il giorno; per te le tenebre sono come luce” (Salmo 139,11s). Dio ci “presta” i Suoi occhi che, riescono a vedere la bellezza, anche se nascosta, ma riconoscono il male, anche se mascherato dal bene. Egli vede il lupo, anche quando è travestito da agnello.
Quando Ti accorgi che siamo come questo povero fariseo, Signore, tiraci le orecchie, come sai fare Tu, donaci in vece il cuore del pubblicano, capace di soffrire per il male che ci abita. Vogliamo entrare nel mondo della verità e non dell’illusione.

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