XIV DOM. T.O.
“Sulla
cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. ... Legano
infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle
spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un
dito” (Mt 23,2s).
I
maestri religiosi del tempo:
gli scribi, i farisei, conoscitori della
Legge , conoscitori
della
Legge, ne
fanno uno strumento di potere e diventano
oppressori, caricando
le spalle del
popolo
«di
pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un
dito!»
(Lc 11,46). L’apostolo
Pietro afferma: “perché
tentate Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i
nostri padri né noi siamo stati in grado di portare?”
(At,
15,10).
C’è
quindi una
religiosità che, invece di dare vita, appesantisce i giorni. Non
è forse anche per questo che tanti uomini e donne del nostro tempo
non vogliono avere più niente a che fare con noi? Non è forse
perché credono, ingiustamente, che siamo portatori di regole che
tolgono solamente
libertà? Ascoltiamo le
parole di Bonhoeffer: “Certo,
crediamo anche noi che tutt'altra gente ascolterebbe la Parola e ben
altri si allontanerebbero da essa, se Gesù stesso, ... fosse in
mezzo a noi con la sua Parola. … Non è certo solo colpa degli
altri se la nostra predicazione, … appare loro dura e difficile,
perché è farcita di formule e concetti a loro estranei. Non è
certo vero che ogni parola che oggi vien detta contro la nostra
predicazione è già
un rifiuto di Cristo, un'opposizione al cristianesimo. Vogliamo
veramente rinnegare la comunione con coloro che vengono ad ascoltare
la nostra predicazione - e sono numerosi e che ciononostante sempre
di nuovo devono ammettere, addolorati, che rendiamo loro troppo
difficile l'accesso a Cristo? Sono convinti di non volersi sottrarre
alla Parola di Gesù, ma che troppe sovrastrutture umane di
istituzioni, di dottrina si frappongono tra loro e Gesù” (D.
Bonoheffer, Sequela).
Certo,
c’è una responsabilità nostra dalla quale non possiamo scappare:
quando
gli uomini vedono delle vite rese belle dal Vangelo, non possono che
lasciarsi provocare; solo quando vedono che qualcuno ha trovato nel
Cristo ciò che affannosamente
stanno
cercando, si lasciano attrarre e condurre.
La
letteratura ci offre un esempio di
grande bellezza ne “I
Miserabili” di
Victor Hugo,
dove si racconta di Jean Valjean che, dopo 19 anni di prigione per
avere rubato un pezzo di pane, nel
suo vagare, incontra il vescovo Myriel che lo accoglie in casa.
Quest’uomo
reso duro dalla sofferenza non si fida più di nessuno,
ruba l’argenteria del
Vescovo
e fugge. Viene
catturato e riportato dal
Vescovo, il
quale
non solo afferma di avergli donato l’argenteria, ma gli rimprovera
di aver dimenticato i doni più preziosi: due candelabri d’argento.
Valjean non se ne priverà più, perché in quei candelabri continua
a rivedre
l’evento che da miserabile l’ha trasformato
nuovamente in uomo.
Il
Vescovo, infatti, invece d’infuriarsi e
pretendere giustizia,
compie un gesto che ha il potere di toccare
il cuore di quell’uomo indurito dal rancore, e conquistarlo:
dona a Valjean quel che questi gli aveva portato via con l’inganno.
Valjean risponderà. Tutto il resto del romanzo, mostra in un
crescendo il frutto del seme gettato dal Vescovo nel suo cuore: una
vita piena di gratuità, che porta Valjean a muoversi secondo una
logica diversa da quella del mondo che gli ruota attorno, e che, a
conti fatti, commuove.
“Prendete
il mio giogo” (Mt
11,29)
dice
Gesù. Il
giogo è un pezzo di legno, molto pesante e
solido che si poneva sul collo degli animali per
trainare un carro. A noi fa pensare subito a un peso, a qualcosa che
ci costringe, ma in realtà il giogo permetteva agli animali di
condividere il peso e
di trasportare grandi carichi.
Quando Gesù ci parla del Suo gioco, non è semplicemente che lo
possiede e lo pone sulla nostra schiena, bensì sotto quel giogo c’è
Lui insieme a noi. Egli condivide la fatica, da’ il passo e la
direzione,
contrariamente agli Scribi e i Farisei che il peso lo scaricavano
completamente sugli altri.
Rifiutiamo
il giogo di Gesù, convinti che sia troppo pesante e poi ci lasciamo
caricare o ci carichiamo noi stessi di situazione che ci lasciano
senza fiato, per l’appunto stanchi
e oppressi;
Egli
ci guarda con compassione e, invece di usare la frusta, ci invita ad
abbandonare quei gioghi, per porre la nostra vita sotto il Suo,
insieme con Lui.
Quando
Eliseo ricevette la chiamata a diventare profeta dopo Elia “Costui
arava con dodici paia di buoi .... Elia, passandogli vicino, gli
gettò addosso il suo mantello. lasciò i buoi e corse dietro a
Elia, dicendogli: «Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti
seguirò». Elia disse: «Va’ e torna, perché sai che cosa ho
fatto per te». Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e
li uccise; con la legna del giogo dei buoi fece cuocere la carne e la
diede al popolo, perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elia,
entrando al suo servizio”
(1Re 19,19ss).
Padre,
donaci la libertà di Eliseo che, non ha esitato a lasciarsi dietro
le spalle il passato, le abitudini, le sicurezze, insieme alla
fatica; insegnaci a “trascinare” la storia con Tuo Figlio Gesù,
mite è umile di cuore.
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