Scrive nel suo Diario Soeren Kierkegaard:"La nave è in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani".
Alcuni anni fa vidi al cinema “La tempesta perfetta”, un film non di qualità eccelsa, ma che, credo, possa aiutarci a comprendere il significato della solennità dell’Immacolata.
Nel film, un gruppo di pescatori esce in mare per il solito lavoro, nonostante le previsioni preannuncino una violenta tempesta; non contenti, scelgono, a un certo punto, di spingersi in una zona dell’oceano molto pericolosa, ma ideale per la pesca. Lì riescono effettivamente a recuperare una quantità enorme di pesce, ma nel ritorno vengono investiti da una tempesta violentissima e a nulla servono gli interventi di salvataggio. Non uno di loro resta vivo; affondano tutti con il loro carico di pesce.
L’esempio, anche se non pienamente adeguato, ci può servire, perché uomini che scelgono di fare di testa propria, sfidando la sorte, sono un po’ l’immagine dell’umanità che, all’origine della storia, invece di accettare di rimanere nella terra ferma, che Dio ha preparato, fidandosi della sua parola, ha scelto di uscire in mare aperto.
Perché stare nel sicuro e splendido, ma monotono, giardino di Eden, quando si può andare verso la libertà dell’avventura? Perché fidarsi di Dio, il quale sembra volere che la sua creatura più bella resti con le ali tarpate, in una gabbia – dorata -, ma pur sempre una gabbia? Perché non provare a superare i limiti della propria natura per diventare come Dio?
Il testo della Gen è veramente splendido, perché, nascosto sotto le immagini che l’autore sacro ha scelto per parlarci, c’è una ricchezza infinita. Proviamo a vedere cosa ha comportato per l’umanità l’uscire in mare aperto; quale tempesta ha colpito l’umanità.
Innanzitutto Adamo si nasconde dalla presenza di Dio, perché riconosce di essere nudo e ciò, nella società ebraica antica equivaleva a una condizione di debolezza. La nudità però indica anche l’essere umano in se stesso, come è stato voluto da Dio fin dall’inizio. Adamo si vergogna della propri nudità, cioè della propria realtà; non si ama più, non si accetta più; vorrebbe diventare ciò che non è, e non potrà mai essere, e rifiuta ciò che è. E’ il perenne percorso dell’essere umano, Dio l’ha voluto come la più bella delle creature, e l’essere umano spesso sceglie di abbruttirsi riducendosi e riducendo gli altri suoi simili come animali. Oppure l’essere umano vorrebbe diventare come Dio, autonomo signore di tutto, ma a modo proprio e così non gli resta che il fallimento e i danni annessi.
C’è un altro aspetto che mi colpisce: l’incapacità di Adamo di assumersi la responsabilità della disobbedienza. Invece di riconoscere di avere violato i limiti postigli dal Signore, non trova niente di meglio che accusare sua moglie, colei che aveva accolta con entusiasmo, definendola “ossa delle mie ossa e carne della mia carne”; è drammatico, Adamo espone sua moglie a un possibile castigo: la tradisce, cioè la consegna a Dio come colpevole.
Anche Eva non è capace di dire: “Io ho sbagliato”, ma accusa il serpente. Qui è necessario aprire una parentesi, finché l’essere umano non diventerà capace di assumersi la responsabilità delle proprie scelte, Dio non potrà guarirlo. Riconoscersi responsabili del proprio peccato, è il primo passo necessario per convertirsi, per uscire dalle sue spire. Finché continuerò a dire: è colpa di Tizio, di Caio o di Sempronio, se io faccio, penso o dico così e cosà, non potrò essere liberato.
L’essere umano che ha voluto fare di testa propria ha frantumato l’armonia con Dio, con il proprio simile e con il creato.
Di fronte a un’umanità così, andata alla deriva e incapace da sé di raggiungere il porto della salvezza, Dio ha mandato un Salvatore, Suo Figlio, Verbo incarnato; lo ha mandato perché salisse su quella barca andata alla deriva, disorientata e sballottata dalle onde, per prenderne il timone e ricondurla al porto. Dio ha voluto una scialuppa, sulla quale Suo Figlio, ha raggiunto la nave dell’umanità. Maria – mi perdoni per il paragone azzardato – è quella splendida scialuppa. Quella piccola giovane ha accettato di diventare un povero, ma insostituibile strumento.
Maria è Immacolata, cioè “senza macchia”, per essere strumento adeguato attraverso il quale Dio potesse raggiungere l’uomo disperso e in pericolo.
Quanta gente apparentemente più adatta doveva esserci a quel tempo; quanti modi alternativi poteva scegliere Dio, per rendersi presente, invece ha scelto una donna, sostanzialmente “insignificante”. Lei stessa quando parla di sé dice che Dio ha guardato “l'umiltà della sua serva”; Maria si guarda e riconosce di non avere nulla di eccezionale da offrire al suo Signore. Forse proprio per questo Dio l’ha scelta, perché nella consapevolezza di non essere nulla, sarebbe stata capace di fidarsi.
Alcuni anni fa vidi al cinema “La tempesta perfetta”, un film non di qualità eccelsa, ma che, credo, possa aiutarci a comprendere il significato della solennità dell’Immacolata.
Nel film, un gruppo di pescatori esce in mare per il solito lavoro, nonostante le previsioni preannuncino una violenta tempesta; non contenti, scelgono, a un certo punto, di spingersi in una zona dell’oceano molto pericolosa, ma ideale per la pesca. Lì riescono effettivamente a recuperare una quantità enorme di pesce, ma nel ritorno vengono investiti da una tempesta violentissima e a nulla servono gli interventi di salvataggio. Non uno di loro resta vivo; affondano tutti con il loro carico di pesce.
L’esempio, anche se non pienamente adeguato, ci può servire, perché uomini che scelgono di fare di testa propria, sfidando la sorte, sono un po’ l’immagine dell’umanità che, all’origine della storia, invece di accettare di rimanere nella terra ferma, che Dio ha preparato, fidandosi della sua parola, ha scelto di uscire in mare aperto.
Perché stare nel sicuro e splendido, ma monotono, giardino di Eden, quando si può andare verso la libertà dell’avventura? Perché fidarsi di Dio, il quale sembra volere che la sua creatura più bella resti con le ali tarpate, in una gabbia – dorata -, ma pur sempre una gabbia? Perché non provare a superare i limiti della propria natura per diventare come Dio?
Il testo della Gen è veramente splendido, perché, nascosto sotto le immagini che l’autore sacro ha scelto per parlarci, c’è una ricchezza infinita. Proviamo a vedere cosa ha comportato per l’umanità l’uscire in mare aperto; quale tempesta ha colpito l’umanità.
Innanzitutto Adamo si nasconde dalla presenza di Dio, perché riconosce di essere nudo e ciò, nella società ebraica antica equivaleva a una condizione di debolezza. La nudità però indica anche l’essere umano in se stesso, come è stato voluto da Dio fin dall’inizio. Adamo si vergogna della propri nudità, cioè della propria realtà; non si ama più, non si accetta più; vorrebbe diventare ciò che non è, e non potrà mai essere, e rifiuta ciò che è. E’ il perenne percorso dell’essere umano, Dio l’ha voluto come la più bella delle creature, e l’essere umano spesso sceglie di abbruttirsi riducendosi e riducendo gli altri suoi simili come animali. Oppure l’essere umano vorrebbe diventare come Dio, autonomo signore di tutto, ma a modo proprio e così non gli resta che il fallimento e i danni annessi.
C’è un altro aspetto che mi colpisce: l’incapacità di Adamo di assumersi la responsabilità della disobbedienza. Invece di riconoscere di avere violato i limiti postigli dal Signore, non trova niente di meglio che accusare sua moglie, colei che aveva accolta con entusiasmo, definendola “ossa delle mie ossa e carne della mia carne”; è drammatico, Adamo espone sua moglie a un possibile castigo: la tradisce, cioè la consegna a Dio come colpevole.
Anche Eva non è capace di dire: “Io ho sbagliato”, ma accusa il serpente. Qui è necessario aprire una parentesi, finché l’essere umano non diventerà capace di assumersi la responsabilità delle proprie scelte, Dio non potrà guarirlo. Riconoscersi responsabili del proprio peccato, è il primo passo necessario per convertirsi, per uscire dalle sue spire. Finché continuerò a dire: è colpa di Tizio, di Caio o di Sempronio, se io faccio, penso o dico così e cosà, non potrò essere liberato.
L’essere umano che ha voluto fare di testa propria ha frantumato l’armonia con Dio, con il proprio simile e con il creato.
Di fronte a un’umanità così, andata alla deriva e incapace da sé di raggiungere il porto della salvezza, Dio ha mandato un Salvatore, Suo Figlio, Verbo incarnato; lo ha mandato perché salisse su quella barca andata alla deriva, disorientata e sballottata dalle onde, per prenderne il timone e ricondurla al porto. Dio ha voluto una scialuppa, sulla quale Suo Figlio, ha raggiunto la nave dell’umanità. Maria – mi perdoni per il paragone azzardato – è quella splendida scialuppa. Quella piccola giovane ha accettato di diventare un povero, ma insostituibile strumento.
Maria è Immacolata, cioè “senza macchia”, per essere strumento adeguato attraverso il quale Dio potesse raggiungere l’uomo disperso e in pericolo.
Quanta gente apparentemente più adatta doveva esserci a quel tempo; quanti modi alternativi poteva scegliere Dio, per rendersi presente, invece ha scelto una donna, sostanzialmente “insignificante”. Lei stessa quando parla di sé dice che Dio ha guardato “l'umiltà della sua serva”; Maria si guarda e riconosce di non avere nulla di eccezionale da offrire al suo Signore. Forse proprio per questo Dio l’ha scelta, perché nella consapevolezza di non essere nulla, sarebbe stata capace di fidarsi.
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