Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

venerdì 16 luglio 2010

Non è Ratzinger l’obiettivo. Non è insofferenza per il Pontefice tedesco

Di Bruno Mastroianni - Tempi del 16 luglio 2010 -

Non è Ratzinger l’obiettivo. Non è insofferenza per il Pontefice tedesco, non è una questione di interpretazioni del Concilio Vaticano II e nemmeno una faccenda di pedofili e palazzinari. La vera causa delle continue discussioni sulla Chiesa è la Chiesa stessa. A certi orecchi suona insopportabile questa voce che continua a mettere il mondo di fronte alla realtà delle cose reali, a interpellare l’uomo su ciò che veramente conta, su ciò che c’è dietro (o meglio sopra) la sua vita sulla terra. E suona ancora più insopportabile che a portare avanti questa Chiesa siano uomini come gli altri. Non dei supermoralisti impeccabili, non dei geni che non sbagliano un colpo, ma una compagine di persone in cui c’è di tutto: dal peccatore al santo d’altare, dal tiepido all’ingenuo, fino ad arrivare a qualche farabutto. Eppure la Chiesa dura da duemila anni conservando intatta la sua missione, più di quanto sia mai riuscita a fare qualsiasi altra istituzione. Questo non fa che aggravare l’insofferenza: è la prova provata, presente davanti agli occhi di tutti, che il suo destino è nelle mani di qualcun Altro. Papa Ratzinger in questo scenario ha un’unica grande colpa: sta riportando l’attenzione sulla dimensione soprannaturale, mettendo da parte gli inutili fronzoli istituzionali e di palazzo, per ricollocare al primo posto la questione della fede.
I dissidi sono un segnale inequivocabile: tante attenzioni attorno alla Chiesa non ci sarebbero se non fosse per l’aratro di Benedetto XVI che, smuovendo la terra, sta lasciando il segno.

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