XVI DOMENICA TEMPO ORDINARIO
Oggi la liturgia ci presenta due testi molto lontani tra loro nel tempo, ma che hanno in comune la descrizione di una visita: quella di Dio agli uomini.
Nel bel racconto di Genesi, Dio si rende presente attraverso la misteriosa mediazione di tre uomini che, però, sembrano essere uno – Abramo passa dal plurale al singolare quando parla con i suoi ospiti improvvisi: “vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui … Appena li vide, corse loro incontro … si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo” (Gen 18,2s) -. Si parla di questo racconto come della manifestazione veterotestamentaria della Trinità, tant’è che il celebre iconografo santo, Andrej Rublev, ha scritto la sua straordinaria icona della Trinità proprio a partire da questo testo.
Nel Vangelo invece Dio si rende presente in Cristo – “Chi vede me, vede il Padre”.
C’è un versetto dell’Apocalisse che può sintetizzare entrambi i testi: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). Siamo abituati all’idea di dover cercare Dio, invece oggi ci viene ricordato chiaramente che è Dio che cerca noi, che bussa costantemente alla nostra porta: ogni giorno e in ogni istante. Dio è un mendicante del nostro amore. Sentiamo che cosa ci dice il Signore attraverso la voce del profeta Isaia: “Per quale motivo non c'è nessuno, ora che sono venuto? Perché, ora che chiamo, nessuno risponde?” (Is 50,2).
Perché il Signore bussa alla nostra porta? Per entrare e rimanere: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).
Perché dovremmo aprirti e lasciarti abitare nella nostra casa, non come ospite, tra l’altro, ma come padrone? Perché dovremmo rinunciare alle nostre abitudini, al nostro modo di pensare e di vedere le cose?
Perché non c’è altra via affinché la nostra vita sia pienamente realizzata; perché quando
Fatta questa premessa, risulta più comprensibile il bellissimo testo evangelico. Normalmente la nostra simpatia va a Marta, perché sembra di più uno di noi. E’ una donna pratica e concreta, che non sfigurerebbe in una nostra casa. Ella però ci assomiglia anche per diversi aspetti negativi:
- serve il suo ospite, ma non liberamente, con malcontento – brontola per tutto ciò che deve fare –
- non sa discernere tra ciò che è essenziale e ciò che non lo è; fa un sacco di cose – che forse nessuno le ha chiesto -, ma questo la rende scontenta, stanca e frustrata
- non ha tempo da perdere in cose secondarie o inutili, questo però la porta a non avere tempo per ascoltare il Signore. Quante volte ci nascondiamo dietro queste parole per giustificare l’assenza di relazione con Dio: non ho tempo. Salvo poi, quando il tempo l’abbiamo – vedi per esempio l’estate – dedicarlo ancora meno al Signore (quanti praticanti non vanno a Messa d’estate)
- è acida verso la sorella – non le si rivolge direttamente nemmeno quando deve rimproverarla; ma è indisponente anche verso Gesù – lo accusa di essere indifferente alla sua condizione
Ci chiediamo allora se vale la pena correre tanto, se poi non c’è più tempo per il Signore che, non dimentichiamolo, è la via, la verità e la vita.
Marta e Maria non sono due alternative; noi non dobbiamo diventare come l’una o come l’altra, ma dobbiamo riuscire a metterle insieme. Stare ai piedi del Signore per ascoltarlo è il fondamento affinché cambi il nostro modo di operare. Il cristianesimo non è fare, fare, fare e ancora fare, ma essere trasformati dalla grazia di Dio per poi fare in maniera diversa. Non dobbiamo dimenticare le parole di Paolo che ci esorta a non illuderci: “Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.
E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe” (1 Cor 13,1ss).
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