VI DOMENICA DI PASQUA
“Contra factum non valet argumentum” dicevano i latini e volevano significare
che contro la prova dei fatti nessun argomento potrà avere valore. Questo proverbio l’ho già citato altre volte, perché mi pare di estrema utilità. Serve a me personalmente per conoscermi meglio, per smascherarmi e dirmi la verità su me stesso, ma mi aiuta a dare una certa lettura della realtà che mi circonda. In definitiva la mia lingua può fare un sacco di affermazioni, ma se poi non sono tendenzialmente confermate dai fatti, può essere che non siano autentiche. Posso dire di volere bene a una persona, ma probabilmente non è vero, se mai la cerco, se non mi manca quando è assente, se non ho bisogno di sentirla e di incontrala. Posso credere di essere paziente e disponibile, ma probabilmente non è vero, se ogni volta che qualcuno mi chiede qualcosa scatto e ho altro da fare. Posso pensare di essere un cristiano, perché sono battezzato e credo che Dio esiste, ma se poi non faccio nessuno sforzo per lasciarmi incontrare da Lui, perché rientro nella categoria dei cosiddetti credenti non praticanti o dei praticanti non credenti ….? Viceversa posso pensare di non amare, ma se poi mi prodigo per soccorrere chi mi interpella? Oggi Gesù offre a me e a voi uno di quei testi che ci invita a guardare i fatti e in modo particolare i nostri – infatti è abbastanza facile guardare quelli altrui per interpretarli -: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti … Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama ” (14,15;21), che possiamo anche tradurre così: Chi osserva i miei comandamenti, mi ama. Da questo punto di vista la prima lettera di Giovanni è ancora più chiara e, direi, impietosa, quando afferma: “Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: “Lo conosco”, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità” (1Gv 2,3). Perché l’evangelista è così severo, perché non ci lascia nella nostra illusione? Perché per poter guarire è necessario prima di tutto riconoscere di essere ammalati e il medico non può nascondere la verità – per timore di offendere -, se è un buon medico.
Chi può dire di osservare i comandamenti di Dio? Solo i presuntuosi che, tra l’altro non hanno ben compreso cosa sia la vita in Cristo; quelli che si accontentano sempre del minimo e credono che sia il massimo possibile. Tutti noi altri, invece, sappiamo bene di essere inadeguati, spesso manchevoli e mediocri, ma almeno ci proviamo, non ci accontentiamo. Ci sentiamo attratti dalla parola del Signore e da ciò che ci chiede, per questo vorremmo fare di più e meglio e quindi stiamo male e piangiamo per la nostra incoerenza. Non ci abbattiamo però, perché sappiamo che il Signore, se noi collaboriamo, può rendere possibile ciò che ci sembra impossibile; può consentirci di andare al di là del nostro limite. L’importante allora è che non ci sentiamo mai arrivati; che non crediamo di avere già fatto e dato tutto il possibile.
A questo proposito è splendido ciò che ci dice il Signore: “Io pregherò il Padre ed egli vi manderà un altro Paraclito, perché rimanga con voi sempre, lo Spirito della verità … egli rimane presso di voi e sarà in voi” 814,16s). Queste parole sono fondamentali, perché attestano che ciò che di grande ci è chiesto da Dio, non ci è chiesto di realizzarlo da soli. Ricordate la moltiplicazione dei pani e dei pesci? Gesù sfamò cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini e ne avanzarono dodici ceste piene. La moltiplicazione però partì da cinque pani e due pesci, apparentemente nulla; l’incontro tra la nostra povertà disponibile e la grazia di Dio può operare cose mirabili in noi e per gli altri.
Ascoltiamo cosa dice san Bernardo a proposito della presenza di Gesù in lui – inseparabile però dal Padre e dallo Spirito: “Vivo e attivo è lui, e appena è entrato ha destato l’anima mia assopita; ha commosso, reso molle e ferito il mio cuore, poiché era duro e di sasso, e insensato. Ha cominciato anche a strappare e a distruggere, a edificare e a piantare, a irrigare ciò che era arido, a illuminare ciò che era tenebroso, a spalancare ciò che era chiuso, a riscaldare ciò che era freddo, e così pure a raddrizzare ciò che era storto, e a cambiare le asperità in vie piane, affinché l’anima mia, e tutto ciò che è in me, benedicesse il Signore e il suo santo nome. Entrando così più volte in me il Verbo, mio sposo, non ha fatto mai conoscere la sua venuta da nessun indizio: non dalla voce, non dall’aspetto, non dal passaggio. Nessun gesto suo insomma lo ha fatto scoprire, nessuno dei miei sensi si è accorto che penetrava nel mio intimo soltanto dal moto del cuore …; dalla fuga dei vizi, dalla stretta dei desideri carnali, ho avvertito la potenza della sua virtù; dallo scuotimento e dalla riprensione delle mie colpe nascoste, ho ammirato la profondità della sua sapienza; dalla sia pur piccola correzione delle mie abitudini, ho sperimentato la bontà della sua mitezza, dalla trasformazione e dal rinnovamento dello spirito della mia mente, cioè del mio uomo interiore, mi son fatto comunque l’idea della sua bellezza (Bernardo di Chiarav., In Cant. Cant. Sermo 74, 6).
Donaci Signore di avere fame e sete della tua volontà e di non scoraggiarci quando la battagli ci sembra impari.
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