Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

martedì 6 dicembre 2011

Cinque domande, una risposta: la carità nella verità. Un'analisi del testo di Joseph Ratzinger sui divorziati risposati 3

Molti propongono di permettere eccezioni dalla norma ecclesiale, sulla base dei tradizionali principi dell'epicheia e della aequitas canonica.

“Epicheia” ed “aequitas canonica” sono due termini di matrice filosofico-teologica molto vasti, utilizzati in questo nostro caso specifico nell’ambito giuridico del Diritto Canonico.
L’obiezione relativa al significato teologico del primo termine (Epicheia) farebbe riferimento  al cosiddetto caso di «buona fede»: se un fedele è convinto che il suo primo matrimonio è stato nullo, anche se non è riuscito ad ottenere la dichiarazione di nullità, sulla base dell’epicheia potrebbe contrarre una seconda unione canonica e, sempre sulla stessa base, la Chiesa dovrebbe permetterlo (cf. Angel Rodríguez Luño, in “L’Osservatore Romano”, 26.11.1997). “Epicheia ed aequitas canonica – afferma il card. Ratzinger citando i contributi teologici di don Marcuzzi e del prof. Rodríguez Luño – sono di grande importanza nell'ambito delle norme umane e puramente ecclesiali, ma non possono essere applicate nell'ambito di norme, sulle quali la Chiesa non ha nessun potere discrezionale. L'indissolubilità del matrimonio è una di queste norme, che risalgono al Signore stesso e pertanto vengono designate come norme di «diritto divino». La Chiesa non può neppure approvare pratiche pastorali – ad esempio nella pastorale dei Sacramenti –, che contraddirebbero il chiaro comandamento del Signore. In altre parole: se il matrimonio precedente di fedeli divorziati risposati era valido, la loro nuova unione in nessuna circostanza può essere considerata come conforme al diritto, e pertanto per motivi intrinseci non è possibile una recezione dei sacramenti. La coscienza del singolo è vincolata senza eccezioni a questa norma”; e ancora: “Poiché il matrimonio ha essenzialmente un carattere pubblico-ecclesiale e vale il principio fondamentale «Nemo iudex in propria causa» («Nessuno è giudice nella propria causa»), le questioni matrimoniali devono essere risolte in foro esterno. Qualora fedeli divorziati risposati ritengano che il loro precedente matrimonio non era mai stato valido, essi sono pertanto obbligati a rivolgersi al competente tribunale ecclesiastico, che dovrà esaminare il problema obiettivamente e con l'applicazione di tutte le possibilità giuridicamente disponibili”.

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